Tiritera – Radio Ciroma http://www.ciroma.org Fri, 13 Oct 2023 19:44:20 +0200 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.24 23 Gennaio Subsonica a Cosenza – Quattro chiacchiere con Max Casacci http://www.ciroma.org/max-casacci/ Sat, 16 Jan 2016 04:48:51 +0000 http://www.ciroma.org/?p=2040  

In vista del concerto dei Subsonica – Il 23 Gennaio, presso l’Auditorium Popolare di Cosenza-  dagli studi di Piazzetta Toscano abbiamo avuto una bella telefonata con Max Casacci, Chitarrista, Fondatore e Autore del gruppo torinese.

Quattro chiacchiere su cosa significhi portare “Una Nave in una Foresta” -l’ultimo album dei Subsonica (2014) – e su cosa accade quando questa foresta diventa un club, luogo dei concerti del loro ultimo tour, o anche un Auditorium Popolare, uno spazio liberato, gestito con l’impegno di uomini e donne libere, militanti, artisti, pezzi dell’associazionismo cittadino.

Si continua a parlare anche di Demonology, il progetto dancefloor di Casacci e Ninja (batterista dei Subsonica)

Passando per l’attivismo in quel di Torino, Casacci ci da il suo punto di vista anche sul cosa sia cambiato oggi nel fare musica rispetto agli inizi della strada dei Subsonica 20 anni fa.

Vi invitiamo quindi al concerto dei Subsonica, presso l’Auditorium Popolare, il 23 Gennaio. Un concerto che ripercorrerà 20 anni di carriera di uno dei più importanti gruppi musicali in Italia.
3 brani per ogni album, per ripercorrere la storia dei Subsonica o per imparare a conoscere il percorso del gruppo Torinese.

 

Sono attivi i seguenti punti vendita:
CPOA Rialzo (viale Parco)
Martedì, Giovedì e Sabato con orari dalle 18 alle 20.
Sede di Controverso (Università della Calabria)
Lunedì e Mercoledì con orari dalle 15 alle 18

 

]]>
Monografia: The Piper at the Gates of Dawn (MINT) http://www.ciroma.org/monografica-the-piper-at-the-gates-of-dawn-mint/ Thu, 29 Oct 2015 21:14:08 +0000 http://www.ciroma.org/?p=1821 Per la terza puntata di Mint abbiamo scelto The Piper at the Gates of Dawn(1967) dei Pink floyd e lo abbiamo ascoltato insieme agli amici Nicola Comerci e Domenico De Cicco.

Cosa pensate quando sentite la parola Psichedelia? Questo termine è diventato molto comune tra i gli appassionati di musica ma al contempo è difficile dare una definizione precisa di sound psichedelico, difatti il termine significa semplicemente “allargamento di coscienza”.

Sebbene alcuni canoni della psichedelia sono già stati applicati da Coltrane dieci anni prima il 1965 è sicuramente l’anno zero della psichedelia pop/rock. Siamo in America e questa rivoluzione è uno strano tipo di fermento legato fortemente alla cultura hippie che travolge un intera generazione. Per farla breve il risultato di quei fantastici mix di jam blues ed esperienze lisergiche ha dato vita a band come 13th floor elevator, Jefferson Airplane, Doors, Grateful Dead, Velvet Underground, Love che in maniera diversa hanno creato una nuova corrente sonora.

Con i Pink Floyd invece la psichedelia sbarca in europa per la prima volta e viene trasformata attraverso dei canoni stilistici prettamente britannici. Viene rivalutato un genere ancora giovane e la band resta in bilico tra la sperimentazione e la forma caznone tradizionale, riuscendo a tratti a racchiudere la pischedelia in due o tre minuti di brano.

Per certi versi questo disco unifica le diverse strade che si erano prese tra le band statunitensi, ad esempio la forma canzone dei Jefferson Arplane, i flussi improvvisativi dei velvet Underground.

La figura che spicca di più all’interno di questa formazione è quella di Syd Barrett, libero di esplorare a pieno il proprio universo interiore grazie a una solida band a supporto: Nick Mason alla batteria, Roger Waters bassista e futuro leader e infine un tastierista assolutamente sottovalutato, Richard Wright che era il membro con maggiore formazione accademica.

Il titolo del disco è tratto dal settimo capitolo del libro “Il vento fra i salici” di Kenneth Grahame”. I Pink Floyd sono stati tra i primi a trattare tematiche fiabesche all’interno dei propri dischi. La fiaba è il mezzo terreno più vicino per esplorare mondi fantastici, sconosciuti, senza considerare che la tradizione britannica vanta uno stile particolarmente cupo e misterioso per certi versi. Un esempio sono le Nursey Rhyme, filastrocche per bambini che spesso toccano tematiche oscure come la morte. Barrett ne era ossessionato, Genesis e molti altri ringraziano.

A fight between the blue you once knew.

Astronomy Domine è il brano di apertura del disco e rappresenta un vero e proprio viaggio stellare. La musica è composta e suonata in funzione dello spazio, la chitarra da la sensazione dell’elevazione e della discesa sulla terra mentre il basso sembra emulare una sorta di connessione radio. Inoltre questo brano presenta delle anomalie armoniche, rivalutando il concetto di musica tonale. Syd Barret riesce a ricamarci sopra con la chiarra e uno splendido cantato.

Evitando in scioltezza noiosi paragoni con i dischi futuri parliamo dello stile della band. Come molte band inglesi nascono da jam blues, non erano dotati di grande tecnica eccetto Wright (chiedere a Normal “normal” Smith) ma avevano decisamente le idee chiare. Roger Waters mostra subito il suo stile particolare libero da alcuni cliché dei bassisti rock e blues, Mason già qui è un batterista molto attento alle dinamiche e ai tessuti sonori mentre Richard Wright , avvolte virtuoso, avvolte esseziale, sembra suonare già da 10 anni.

That cat’s something I can’t explain

Lucifer Sam è un brano dedicato al gatto (Rover) di Syd Barrett o all’amante della ragazza. Un grande riff sinistro catapulta subito l’ascoltatore in un atmosfera strana, proprio come il personaggio del testo che osserva questo gatto agitarsi e non capisce cosa abbia. Qui c’è l’aria del blues, un blues contorto, acido ed esplosivo che ricorda un certo garage rock di stampo americano ( 13th Floor Elevator su tutti).

Oh Mother, tell me more

Matilda Mother è forse la prima canzone che esplora a fondo la natura psichedelica dell’album. Si inizia con una semplice introduzione di organo, il cantato è come una spirale che si avvolge satura di cori ed echi . La chitarra, suona come gli incantatori di serpenti arabi, ed entra brillantemente nell’assolo accompagnata dal frastuono di patti e un respiro pesante. Decisamente strano ascoltare un brano del genere dopo aver ascoltato i più famosi The Wall o Dark Side of the moon. Questa cosa è inevitabile sia oggi che all’epoca dato che in Italia venne pubblicato solo nel 1971.

Lovely Rita meter maid

Mentre i beatles registravano Lovely rita agli Abbey Road studios, i Pink floyd registravano Pow R Toc H. La leggenda vuole che le urla finali del brano siano ispirate proprio alla canzone dei fab four. Pow R Toc H è un brano decisamente sperimentale, ricco di suoni. Si sentono in alcune ritmiche delle citazioni al Raga indiano, infatti Barrett era un grande appassionato di cultura orientale, misticismo e alchimia. La ricerca di altri mondi non è rivolta solo all’esperienza extrasensoriale ma anche alla conoscenza di nuove culture.

Music seems to help the pain Seems to motivate the brain

Take Up Thy Stethoscope and Walk è il primo di una lunga serie di successi firmati Roger Waters, ascoltandolo si possono subito cogliere gli aspetti raffinati della sua musica nonché la sottile satira sociale che accompagneranno tutta la carriera del bassista.

Check ignition and may God’s love be with you

Interstellar Overdrive è uno dei brani più importanti del disco, il titolo dice tutto, un viaggio cosmico incredibile. Era uno dei brani più eseguiti dal vivo. All’epoca i Pink floyd erano quasi la band resident dell’UFO di Londra dove si cimentavano in versioni jammate di 20/30 minuti di Interstellar Overdrive accompagnati da giochi di luce che diventeranno molto importanti per i spettacoli futuri della band. Per certi versi è la summa di questi Pink Floyd, mette in mostra le dotti di tutti in un amalgama sonora perfetta che stravolge l’approccio alla musica rock.

Tony Leaf

 

Podcast della puntata: https://www.mixcloud.com/Mint_come_nuovo/mint-2×03-the-piper-at-the-gates-of-dawn/

 

]]>
Monografia: There’s a riot goin’ on (MINT) http://www.ciroma.org/monografia-theres-a-riot-goin-on-mint/ Sun, 18 Oct 2015 19:44:23 +0000 http://www.ciroma.org/?p=1735

Marvin: “What’s goin’ on”

Sly:”There’s a riot..”

Il funk è un genere musical associato automaticamente alle good vibrations, al groove e al “ma quanto sono bravi i bassisti neri”. Questi concetti nel corso degli anni sono stati abilmente sintetizzati da parte delle etichette dando al consumatore un immagine riduttiva.

Nel 1971 non era così, il soul era uscito dalle chiese già da un po’ e l’america stava realizzando che l’estate dell’amore era finita. Era in atto una rivoluzione, non soltanto sonora.

Si parla di ”There’s a riot goin’ on” uscito il 20 Novembre del 1971 per la Epic Records, noi di Mint lo abbiamo ascoltato insieme a Giuseppe “Kerò” Rimini e abbiamo scelto per l’occasione cinque brani da commentare.

“Sly & the family stone” sono una grande famiglia che ha regalato al mondo già quattro successi discografici e una memorabile prestazione a Woodstock. Se James Brown ci ha insegnato cos’è il groove Sly Stone (in compagnia di altre band come Funkadelic) lo ha reso psichedelico.

Ed è così che la Epic vuole subito un altro disco da parte da questi ragazzi che avevano già ottenuto dei risultati sensazionali con “Stand!”, ma c’è qualcosa che non va. Proprio come le tensioni sociali in America la band stava passando un momento difficile. I rapporti interni soprattutto fra i fratelli Stone e Larry Graham si stavano deteriorando e le Black Panthers facevano pressioni affinchè il gruppo diventi schierato e militante. Sly ha il suo crollo, tuttavia riceve il messaggio e fa un passo indietro.

Egli si chiude in studio e la Epic fa uscire un Greatest Hits. Fitta una villa a Bel Ai a 12.000 dollari al mese e si fa montare il suo personalissimo studio segreto dietro unn libreria, mentre la casa era circondata da guardie del corpo, pistole, groupies, litigi, e da un flusso costante di ospiti illustri, da Ike e Tina Turner a Bobby Womack. Tuttavia molti dettagli dell riprese restano un mistero.

”There’s a riot goin’ on” per tutti questi motivi è la pura essenza di Sly Stone, è black music autentica. Se leggete di Sly non basatevi soltanto sulle parole di chi è stato cacciato come Dave Kapralik o di chi si concentra solo sulla sua dipendenza. La fuga dal mondo reale lo porta alla scoperta di un sound primordiale fatto di un miscuglio di vari generi. Il massiccio uso di tecniche di dubbing creano una seducente e torbida fanghiglia sonora e fanno di lui un precursore.

Feel so good inside myself, Don’t want to move

Il disco inizia con queste parole, “Luv ‘n’ Haight” è il lamento di uno Sly Stone rinchiuso in se stesso. I cori isterici non mentono e sono immersi in un ritmo vibrante e una chitarra soffocata da wah wah hendrixiani. Il clima è agitato ma tutto è più smooth, più cupo, questo disco sin dal primo brano prende le distanze dal macismo della psichedelia rock. Il sound si epura da tutto ciò che può lontanamente richiamare la musica dei bianchi.

C’è una cattiveria di fondo dal sound fino alla copertina, un ironica bandiera stelle e striscie con dei soli al posto delle stelle, se non fosse per l’adesivo “Featuring the Hit Single ‘Family Affair'” applicato dalla Epic Records.

Difatti la maggior parte della fortuna del disco all’epoca la fece proprio il singolo spaccaclassifiche “Family Affair”, prima hit popular a fare uso di una drum machine (Maestro Rhythm King). Rose Stone apre il brano con il bellissimo ritornello a ripetizione seguita dal timbro caldo e conturbante di Sly che canta le gioie e i dolori della famiglia fino al ritorno della sorella quando si lascia sfuggire un paio di gemiti quasi ad imitare un bimbo che piange. Il piano elettrico di Sly è supportato da Billy Preston che abbellisce il brano e delicatamente accenna a una versione più arzilla di Riders on the Storm (uscita lo stesso anno).

Watch out, ‘cause the summer gets cold

La cullante e meditativa “Africa Talks To You “The Asphalt Jungle” è il primo squillo della coscienza di Sly persa nel caos del lusso sfrenato. La drum machine è come un cronometro amplificato che viene spento e accesso ogni quattro secondi, seguono un riff di basso, una chitarra acuta che mi piace pensare sia Ike Turner e qualche organo funky, unendo il tutto in un groove fantastico che potrebbe andare avanti per sempre, per quanto mi riguarda. Il miglio esempio del funky multi-etnico che Sly voleva esprimere.

And they said I had a limp and then they tried to pass around I was a pimp

Il tono cupo del disco è momentanamente portato via da Spaced cowboy, la “The joker” del disco. E’ una vera anomalia nella discografia della band che mescola un po’ alla Frank Zappa atmosfere country deformate e vocalizzi jodel che spesso sfumano in risata.

Thank you for lettin’ me be myself again

Il disco si conclude con, Thank You For Talking To Me Africa, una straziante rivisitazione di Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) di qualche anno prima. Anche se il testo della canzone è rimasto lo stesso non suona trionfante come la prima versione. Sa di redenzione, grazie all’interpretazione vocale di Sly che da un nuovo senso alle parole rendendola un’immagine speculare raccapricciante dell’originale. Non a caso cambia anche il titolo e l’Africa è come se rappresenti la sua coscienza, la sua spiritualità che mette in discussione il successo ottenuto fino ad allora.

“Grazie per avermi permesso di essere di nuovo me stesso” adesso ha un altro significato.

Tony Leaf

PODCAST DELLA PUNTATA

]]>
MINT Live report: Crosby, Stills & Nash @ Auditorium Parco della Musica, Roma http://www.ciroma.org/mint-live-report-crosby-stills-nash-auditorium-parco-della-musica-roma/ Wed, 07 Oct 2015 20:02:55 +0000 http://www.ciroma.org/?p=1634

“più di 45 insieme.. non è sempre divertente”

Come dice Graham Nash i CSN suonano insieme dal 1969 e martedì 4 ottobre sono stati a Roma per l’ultima tappa Italiana del loro tour Europeo.

Non ci sarebbe potuto essere contesto più solenne dell’Auditorium Parco della Musica per tale evento.
La bellissima sala Santa Cecilia è stata riempita da un pubblico composto maggiormente da fan storici della band e da qualche “giovane” che li vedrà per la prima volta.
Preso posto rapidamente in galleria veniamo accolti dalle note di una sinfonica “A day in the life” che alimenta la giusta tensione fino allo spegnimento delle luci.
Si comincia con “Carry On”, un inno! Il sottoscritto, trattandosi della prima volta è ipnotizzato dalle voci dei tre, gli acciacchi dell’età sono stati annullati dalla loro intesa perfetta. Sembrano proprio essere la loro età e i loro tascorsi gli argomenti principale prima del live, nulla di più inutile.
Stills seppur con una voce più rauca dimostra come la musica del gruppo è tutta un’altra storia dai concerti a due o da soli. Fin dalla prima canzone Stills si prende un assolo dietro l’altro. Nash capelli bianchi a parte non è cambiato una virgola, conduce lo show, ride e interagisce col pubblico. Crosby ha il suo stile (non è facile descriverlo senza farlo passare per un burbero) e una voce delicatissima che all’occorrenzsa spinge senza fatica.
Tuttavia dopo “Marrakesh Express” e “Long time gone” chi ci pensa più?! Siamo immersi completamente nello spettacolo e ci rendiamo conto di essere di fronte a qualcosa di irripetibile.
I tre rockers continuano su questi toni morbidi alternandosi a vicenda su armonie di successo come “Just a Song Before I Go”, Cathedral e la hit di Stills “Southern Cross”.
Deja vu’ diffonde un clima mistico in sala ed è il primo brano in versione estesa. La band lascia spazio ai singoli che verranno infatti presentati subito dopo da Graham Nash: Todd Caldwell alle tastiere, Ross Kunkel alla batteria, Kevin Mc kormick al basso, Shane Fontayne alla chitara e James Raymond, figlio naturale di Crosby che segue da anni in tour.
La prima parte della scaletta viene chiusa da una versione spumeggiante di “Love the one you’re with” di Stills che inizia con un bel riff crunchy che la rende decisamente più rock della versione origiale.
A questo punto Nash annuncia 20 minuti di pausa: “Dont go away!”
La seconda parte dello spettacolo inizia con la dolcissima “Helplessy Hope” che pervade la sala con armonie di rara bellezza soprattutto quando la voce mediana di Crosby sovrasta leggermente le altre (per volume si intende).

“we played to cross the land where the music have no end”

A questo punto Nash che ha gestito i tempi dell’intero spettacolo coglie l’occasione per dedicare un brano ai suoi compagni d’avventure, “Golden days”. Una canzone nuova scritta insieme a Shane Fontayne che farà parte del suo prossimo album. Un brano semplice che non colpisce forse per le melodie quanto per il significato e per l’intensità che riesce a dare Nash.

“new songs are the breath of life”

È il momento degli inediti ed è così che David Crosby introduce il suo nuovo brano, la folla pende dalle sue labbra e come se ci stesse per svelare il segreto della vita seguono interminabili secondi di silenzio rotti da un “dajeee” di uno spettatore. Crosby se la ride, imita il verso del ragazzo e riprende lo show con “Somebody Home”, un delicatissimo brano acustico dalle chiare tinte blues.
Arriva il momento sempre attesissimo di “Guinneveere”, basta una chitarra e le voci di Nash e Crosby per far sciogliere il pubblico in una sensazione onirica.

“Just by looking back, I can tell you life ain’t so scary.”

A questo punto arriva il momento dell’inedito di Stills, “Virtuale World”, una sognante ballata rock con esplosioni irregolari di chitarra elettrica.

Dopo gli inediti i tre tornano a far cantare il pubblico e non c’è pezzo migliore di “Our House”, è emozionante sentire tutta la sala Santa Cecilia intonare e scandire parola per parola il ritornello. Stesso discorso vale per “Chicago” che vede il solito trascinatore Nash al piano. Da quì in poi l’entusiasmo è incontenibile i tre imbracciano la chitarra elettrica e chiudono con “Almost cut my Hair” e “Wooden Ships”.

Tutti ci aspettiamo il bis e dopo la solita inutile attesa la band torna sul palco e suona “Teach your children” e “Suite: Judy blue eyes”, c’eravamo quasi cascati!!

Tony Leaf

]]>
Antiplastic: Fuori il nuovo singolo che anticipa l’uscita di “Under arrest” http://www.ciroma.org/antiplastic-fuori-il-nuovo-singolo-che-anticipa-luscita-di-under-arrest/ Fri, 11 Sep 2015 12:54:09 +0000 http://www.ciroma.org/?p=1442 Torna il progetto Antiplastic con il nuovo singolo “Make a wish” che anticipa il secondo disco “Under arrest” prodotto da BoomkerSoun per Elastica Records.

Dopo il successo di “Not for sale”, disco d’esordio del 2013, la band si spinge oltre, esplora altre sonorità passando dalla dubstep al puro dub, dal reggaeton all’hiphop e alla drum’n’bass fino a ritmi lenti e più ambient.

Antiplastic – Make a wish @Garden (acoustic version)

Con il primo singolo “Make a wish”, estratto dal disco “Under arrest”, gli Antiplastic propongono una sintesi musicale contemporanea, una miscela di sonorità classiche e moderne con contenuti d’interesse giovanile e sociale.
“Il disco racconta della situazione che stiamo vivendo in quest’epoca, in questa società: costretti in una gabbia da chi ci promette libertà, con subdole macchinazioni sociali, interi popoli annebbiati dall’illusione di poter governare il gioco…” Antiplastic.

Il singolo, acquistabile in digitale, lo trovate in esclusiva al seguente link:
http://www.junodownload.com/products/antiplastic-make-a-wish/2873108-02/

Socabeat

]]>