Questi numeri aiutano a delineare un tema. Come includere i migranti nel percorso educativo nazionale e, quindi, nella società che li ospita. «Gli Stati di accoglienza hanno il compito di integrare i migranti nei sistemi educativi. Serve una preparazione adeguata degli insegnanti, anche per combattere i pregiudizi», è il monito dell’Unesco nel rapporto mondiale sull’educazione 2019. Da queste prerogative è partito Enable, progetto transnazionale che intende sviluppare un modello formativo per supportare i minori rifugiati nel rafforzare le proprie competenze. Lo hanno illustrato le ricercatrici Valentina Zecca e Sara Mazzei nell’aula Caldora dell’Università della Calabria. Enable è un progetto Erasmus+ a cui partecipano il Dipartimento culture, educazione e società e il laboratorio Occhialì dell’Unical con l’Università di Schwäbisch Gmünde, l’ong Back on Track (Germania), l’Università di Gävle (Svezia) e l’Università di Muğla (Turchia).
Spiegano le due curatrici, che fanno parte del centro studi Occhialì (su Radio Ciroma conducono la trasmissione Naranj) diretto dal prof Alberto Ventura: «Spesso ci troviamo a citare classifiche e statistiche sugli arrivi ma parliamo di persone e non di numeri. L’idea nasce tra Svezia e Germania proprio sulla spinta dell’arrivo di profughi siriani. Si intende, da un lato, includere i ragazzi rifugiati nel sistema formativo ma anche aumentare le competenze di educatori e mediatori culturali». Continua Valentina, 34 anni: «Ci troviamo difronte a lacune educative di soggetti vulnerabili. Nel primo workshop di Enable che si è tenuto al Social lab di Berlino nel mese di febbraio abbiamo iniziato a raccogliere con gli altri partner informazioni e bisogni formativi della comunità arabofona. In particolare, la ong tedesca Back on Track lavora da anni sull’integrazione scolastica dei minori siriani rifugiati Lì ci siamo focalizzati su questa comunità ma il progetto è aperto a qualsiasi nazionalità».
La metodologia scientifica impiegata nei workshop di Enable, hanno spiegato Zecca e Mazzei, intende favorire soluzioni adatte al contesto d’origine e alla cultura di appartenenza per rafforzare l’efficacia nell’apprendimento dei minori rifugiati. Nel giugno 2018 il team di lavoro è stato all’Unical per una tre giorni, a settembre sono volati in Svezia e a gennaio 2019 visiteranno la Turchia. Dalle idee e le testimonianze dirette raccolte negli incontri lanceranno una piattaforma online di apprendimento e materiale didattico per insegnanti scolastici e mediatori culturali.
«Il confronto con l’esperienza tedesca e svedese è centrale per comprendere le politiche multiculturali» sostiene Sara, 29 anni. Aggiungendo come «in Italia gli indirizzi e i principi sostengano l’interculturalità ma in pratica le risorse siano frammentarie e manchi un coordinamento centrale, in attesa anche delle nuove disposizioni in materia…».
In conclusione, alcuni operatori che lavorano nel settore dell’accoglienza hanno espresso perplessità sulla prassi diffusa di procedere all’iscrizione dei minori rifugiati presso i CPIA che li pone in un ambiente frequentato anche da adulti, non sempre didatticamente adatto alla loro età e separati dai loro coetanei. Annalisa, 28 anni, operatrice allo Sprar di Celico, segnala: «Due ragazzi di 16 anni presenti nel nostro Sprar non si possono iscrivere alle scuole superiori perché non hanno un certificato di licenza media». E Karima, 34 anni, mediatrice culturale da 12 anni in Italia, sostiene: «I ragazzi devono imparare la lingua del luogo in cui vivono. E non credo aiuti farli andare in paesini, dove hanno difficoltà a comunicare».
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]]>Radio Ciroma seguirà da vicino le iniziative con interviste, incursioni radiofoniche ed una speciale programmazione musicale dedicata alla musica del mondo, ogni giorno a partire dalle ore 18.
Simona De Maria ai microfoni di Cafe Istanbul presenta Arts for Equality
Giovedì 22 Marzo alle 9:30 al Cinema Garden - proiezione del documentario "IBI" di Andrea Segre
Il corso di laurea magistrale in Scienze della cooperazione del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Unical presenta agli istituti superiori rendesi il documentario di Andrea Segre realizzato in collaborazione con Matteo Calore con le immagini di Ibitocho Sehounbiatou, “Ibi” protagonista della storia, artista nigeriana approdata a Castelvolturno.
Alla proiezione seguirà il dibattito con gli studenti al quale parteciperanno la ricercatrice Maria Francesca D’Agostino e il ricercatore Maurizio Alfano. Modera l’incontro la giornalista Simona De Maria.
La visione di “Ibi” sarà poi dedicata alla città sempre al Museo del Presente alle 19:30 per proseguire con il dibattito a cui parteciperà il co-regista Matteo Calore.
La serata si concluderà con il laboratorio di cucina magrebina e senegalese.
Venerdì 23 Marzo, sempre al Museo del Presente alle 16:30 spazio ai più piccoli con il laboratorio di letture interculturali a cura di Teca.
La lettura sarà live e corredata da immagini e musica. In particolare saranno proposte letture per bambini e ragazzi della tradizione nord europea, africana ed asiatica.
Si prosegue con l’esposizione d’arte migrante e la sfilata di costumi tradizionali a cura delle associazioni Daawa, comunità nigeriana e ASeCo.
Il centro d’accoglienza Amos presenterà, poi, lo spettacolo teatrale “Indovina SE viene a cena” esito del laboratorio di teatro-danza canto e doppiaggio svolto dagli ospiti del CAS di Arcavacata.
Lo spettacolo è stato scritto con gli ospiti del centro, ed è occasione originale per evidenziare attraverso l’ironia gli stereotipi e i pregiudizi esistenti nella nostra società.
Sabato 24 marzo, sempre al Museo del Presente, si comincia alle 16:30 con il laboratorio “Girotondo di danze” a cura di Benessere Bambino e con la collaborazione della comunità brasiliana.
Il Laboratorio propone ai bambini un viaggio immaginario tra le culture e i popoli del mondo attraverso le danze tradizionali dei vari paesi.
La giornata conclusiva di Arts for equality proseguirà con la premiazione del concorso “ColoraRende” promosso dall’assessorato alla cultura del comune di Rende in collaborazione con l’associazione Sottosuolo e rivolto agli studenti delle scuole secondarie di primo grado presenti sul territorio comunale, dal titolo “Tanti modi di essere uguali: vivere insieme in una città inclusiva e anti-razzista”.
Per il programma completo e gli aggiornamenti segui la pagina Arts for Equality
]]>Nei prossimi giorni torneremo a scrivere sulla questione che appare sempre più intricata e poco chiara.
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Come si può pensare che sia la presenza delle forze dell' ordine a garantire la sicurezza se la maggior parte delle scuole calabresi risulta essere non a norma e se gli spazi universitari, come aule e alloggi, sono in balia dell' abbandono e del degrado? Di quale sicurezza si sta parlando?
E' evidente come gli occhi vigili dei noti inquisitori, nazionali e locali, dirigano il loro sguardo verso chi sta alla base della piramide sociale senza mai guardare al vertice.
E' altrettanto evidente che tanto i presidi delle scuole quanto il rettore dell' Università si rendono complici di un vero e proprio processo di criminalizzazione generazionale.
Una generazione perennemente sotto ricatto, tanti di noi sono costretti a scappare via per mancanza di reddito, opportunità lavorative, oppure costretti a lavorare in nero o senza essere retribuiti, in condizioni di totale sfruttamento.
Con l' alternanza scuola-lavoro e i tirocini universitari (entrambi non retribuiti) siamo costretti ad allenarci nella palestra della precarietà.
Scuole e università, nelle logiche governative, devono fabbricare automi non pensanti pronti ad adattarsi e sopravvivere a qualsiasi condizione.
Valutati, sfruttati, sorvegliati e puniti, questo è il trattamento che ci vuole riservare chi pensa di decidere sulle nostre vite.
Basta ricatti! Nei luoghi del sapere la polizia non ha potere!
Riprendiamoci tutto!
Collettivo Autonomo Studentesco Cosenza
Progetto Azadi
Il motivo di questo blitz è da ricercare nell’ atteggiamento della questura di Cosenza che in queste settimane ha preso di mira i giovani della città non soltanto nelle scuole ma anche nelle piazze. In una città schiava della corruzione e della malapolitica, il questore Conticchio ed il procuratore Spagnuolo non hanno niente di meglio da fare che interrogare centinaia di giovani e inviare la polizia a fare irruzione nelle scuole. E pure a Cosenza ci sarebbe molto altro da fare, viviamo in una città dove la criminalità in giacca e cravatta regna sovrana anche grazie alle coperture dei poteri forti. Viviamo in una città dove si muore inermi nelle corsie di un ospedale. Sono ormai anni che questi signori speculano sulle nostre vite, inondano la città con colate di cemento, stringono accordi sotto banco, si arricchiscono sulle sempre più precarie condizioni di vita di chi oggi si trova senza una casa e senza un lavoro. Nonostante ciò per la questura sembra quasi che la priorità sia data dal piccolo spaccio. Il questore Conticchio tempo fa dichiarò che la “prevenzione” sarebbe stata il leitmotiv del suo agire. Forse prima di fare dei blitz e arrestare ragazzini trattandoli come narcotrafficanti bisogna porsi delle domande per risalire alle cause del fenomeno. Per i ragazzi in questa città non ci sono opportunità lavorative se non quelle di finire sfruttati nei bar o nei call center, nei quartieri popolari l’ abbandono e il degrado regnano sovrani, tante famiglie sono sull’ orlo del precipizio. Se a chi vive queste situazioni non si danno opportunità è normale che si finisca a spacciare per “tirare a campare”, oltre al fatto che quando si arresta un piccolo spacciatore il suo posto nella “piazza” verrà preso presto da qualcun altro. Quindi queste operazioni, rese sempre eclatanti, in realtà altro non sono che farlocchi.
Si parla tanto di decoro urbano e sicurezza. Si punta il dito contro il più debole, si cerca in tutti i modi di innescare guerre tra poveri per annebbiare la vista delle persone. Nelle nostre scuole cosa viene insegnato? E’ possibile che tanti ragazzi debbano essere costretti ad abbassarsi ai ricatti di chi, attraverso l’ alternanza scuola lavoro, li costringe a lavorare gratis? Come si fa a pensare che la "paura" dell'essere arrestato funzioni o sia costruttiva? Soprattutto se si tratta veramente di una dipendenza, come si può pensare che serva più una minaccia della polizia che un reale supporto psicologico? Perquisire e mettere alla gogna pubblica un ragazzo non può che danneggiare la psiche dello stesso. Modalità per niente pedagogica ma al contrario distruttiva.
Come si può pensare che la sicurezza nelle scuole sia data dalla presenza fissa delle forze dell’ ordine mentre tanti studenti sono costretti a studiare in scuole che necessiterebbero di interventi urgenti perché in condizioni precarie. Forse è bene ricordare che in Calabria il 75% delle scuole sono insicure. E’ bene ricordare anche cosa è successo agli studenti del Liceo Scientifico “E. Fermi”, costretti a trasferirsi in un altro istituto perché il proprio non era a norma. Quale è la reale sicurezza per gli studenti? E’ inaccettabile pensare che la risposta a questa domanda sia data dai blitz irruenti della polizia se poi si vivono spazi scolastici fatiscenti in cui da un momento all’ altro può crollare un pezzo di solaio e in cui, molto spesso, il degrado la fa da padrone.