[…] Ho l’intenzione non dissimulata d’esaurire la questione affinché ci si lasci in pace, una volta per tutte, con i sedicenti pericoli della droga. Il mio punto di vista è nettamente antisociale. Non c’è che una ragione per attaccare l’oppio. Ed è quella del pericolo che il suo uso può far correre alla società nel suo insieme.
Questo pericolo è falso. Siamo nati corrotti nel corpo e nell’anima, siamo congenitamente disadattati; togliete l’oppio, non toglierete il bisogno del crimine, i cancri del corpo e dell’anima, la propensione alla disperazione, il cretinismo congenito, la sifilide ereditaria, la debolezza degli istinti; non impedirete che vi siano anime destinate a un veleno quale che sia, al veleno della “lettura”, al veleno dell’isolamento, al veleno dell’onanismo, al veleno dei coiti ripetuti, al veleno della debolezza radicata nell’anima, al veleno dell’alcool, al veleno del tabacco, al veleno dell’anti-socialità […] La proibizione che moltiplica la curiosità della droga non ha portato vantaggio che ai sostenitori della medicina, del giornalismo, della letteratura. Ci sono persone che hanno costruito reputazioni industriose e fecali contro l’inoffensiva ed esigua setta dei dannati della droga (inoffensiva perché esigua e perché costituisce sempre un’eccezione), questa minoranza di dannati dello spirito, dell’anima, della malattia. Ah! Com’è legato bene a loro il cordone ombelicale della morale. Da quando hanno lasciato il ventre della madre, non hanno mai peccato. Sono apostoli, discendenti dei preti; ci si può solamente chiedere dove soffermano il loro sdegno, e quanto hanno intascato per farlo e, in ogni caso, che cosa gli ha fruttato ciò […] Qualsiasi legge, qualsiasi restrizione, qualsiasi campagna contro gli stupefacenti non porterà che a togliere a tutti i bisognosi (che hanno sullo stato sociale imprescrittibili diritti) il sovente dei loro mali, un alimento per loro migliore del pane, e il mezzo per rientrare nella vita […]
Prima di tutto, è una questione di coscienza. La legge sugli stupefacenti mette tra le mani dell’ispettore-usurpatore della salute pubblica il diritto di disporre del dolore degli uomini; è una singolare pretesa della medicina moderna quella di voler dettare i propri doveri alla coscienza di ciascuno. Tutti i piagnistei della legge sono senza potere d’azione contro questo fatto della coscienza […] La fortuita scienza degli uomini non è superiore all’immediata conoscenza che posso avere del mio essere. Sono io il solo giudice di ciò che è in me. Tornate in soffitta, medici parassiti, e anche tu, signor pecorone Legislatore; non è per amore degli uomini che deliri, è per tradizione d’imbecillità. La tua ignoranza di che cos’è un uomo è pari all’imbecillità di volerlo limitare. Spero che la tua Legge ricada su tuo padre, su tua madre, su tua moglie, sui tuoi figli, e su tutta la tua discendenza. E ora strozzati con la tua legge […]
(Antonin Artaud)