Se ancora vale il vecchio adagio del buon Ludwig Feuerbach – “l’uomo è ciò che mangia” – allora, effettuata una rapida ricognizione “stile drone” sulle condizioni dell’industria del cibo, oggi, vale anche “l’uomo è una merda”. Lascio alla vostra fervida fantasia il passaggio di mezzo. In un’epoca dove tutto si deve consumare fast and furious, quello che quotidianamente ingurgitiamo è organoletticamente strutturato per farci del male, seppur lentamente. Siamo funi tese tra il biologicamente corretto, modaiolo e oneroso (dio), e il materialmente scorretto, popolare e dannoso (bestia). Che Nietzsche ci perdoni. In questo quadro a tinte fosche, un gruppo italiano di singoli e comunità si è unito in social catena per rispondere all’attacco delle grandi industrie alimentari, foraggiate dalle tanto chirurgiche quanto scellerate leggi ad istitutionem promulgate dai diversi Stati nazionali. Questa rete “dalle maglie mobili” risponde al nome di Genuino Clandestino. A tesserne la tela una folta schiera di contadini e artigiani, interessati più allo sfruttamento delle potenzialità insite nell’umano che a quello delle risorse naturali apparentemente inesauribili. Un’attività “in perdita”, lontana dalle asfittiche e selvagge logiche del capitalismo galoppante, una sorta di T.A.Z., di utopia concreta, di luogo d’intersezione di più forze. Genuino Clandestino, direbbe Hakim Bey, è come una sommossa che non fronteggia direttamente lo Stato, un’operazione di guerriglia che libera un’area, sia essa di terra, tempo o immaginazione, per poi, quasi istantaneamente, dissolversi e riformarsi altrove, lì dove la longa manus dello Stato non ha ancora impudentemente agito. Per questo, Genuino è Clandestino. Nulla di nascosto, però, in barba all’etimologia latina del termine. Genuino è Clandestino perché in perenne movimento, perché precario, perché abita una terra che non sente più sua, una terra che qualcuno gli ha violentemente scippato per darla in pasto a banche, multinazionali e altri moneymonster del genere.
Così, i clandestini di Genuino s’incontrano nelle periferie dell’Impero, ai margini della Storia, dove traluce ancora un piccolo bagliore d’umanità, quell’umanità responsabile che non si risparmia quando c’è da entrare a gamba tesa per spezzare i tendini della Finanza. Compatti si vince, si perde. Clandestini si spariglia, si scompiglia. Genuino pratica la democrazia assembleare, nella ferma convinzione che il Comune si possa e si debba costruire insieme. Genuino difende e sostiene le agricolture contadine che tutelano la salute della terra, la dignità del lavoratore, l’equilibrio dell’ecosistema. Genuino ritorna al “locale”, non per puro sciovinismo, ma per dare vita a una serie potenzialmente infinita di microcosmi economici, fondati sull’idea della gestione partecipata, dell’autocontrollo, finalizzati alla vendita diretta di prodotti non “certificati”, ma certamente “genuini”.
Una pratica politica, quella di Genuino, una philosophia perennis che scorre nelle vene di chi sostiene le comunità in lotta contro la distruzione dell’ambiente circostante, di chi diffonde pratiche di resistenza al Leviatano. Ecco, appunto, il Leviatano. Come combattere l’atavico e biblico mostro che, con l’angosciante precisione di un orologio svizzero, scandisce da secoli la vita delle comunità, imbrigliandone creatività e spirito di auto-organizzazione?
Lo abbiamo chiesto a Roberta Borghesi e Michela Potito, autrici di Genuino Clandestino. Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere, un taccuino sdrucito, impregnato d’odori e sapori, più che un libro, un diario sgualcito, pieno zeppo di storie e fotografie (quelle di Sara Casna e Michele Lapini), un promemoria mentalmente tascabile per condividere con tutti i principi dell’economia solidale e, chi lo sa, “procacciare” nuovi clandestini.
Michela, perché per combattere e sabotare (#siamotuttierrideluca) il Leviatano, oggi, ai tempi delle inutili grandi opere, c’è bisogno di ritornare a forme di ruralità resistente?
Per evitare la cementificazione sempre crescente della terra fertile, per riappropriarsi della sovranità alimentare, per sottrarre la terra alle speculazioni edilizie ed essere meno dipendenti dal denaro, per nutrirsi.
S’intuisce, al fondo di queste parole, la netta opposizione a un modello socio-economico basato sullo sfruttamento tanto della natura quanto dell’uomo, un modello-vetrina che proclama di voler nutrire il pianeta, ma che, finora, ha nutrito solo affaristi e arrivisti. E, come tutti i modelli che si rispettano, si veste da fricchettone per andare al Gran Galà, si riempie la bocca di sostenibilità per sedersi al tavolo degli “insostenibili” speculatori.
La S.V. è invitata a partecipare all’inaugurazione dell’Esposizione Universale
che si terrà in Milano giorno primo maggio corrente anno.
Si prega di confermare la presenza almeno 48 ore prima dell’inizio dell’evento di modo
da poter comunicare alla Psicopolizia il numero esatto di individui da reprimere e inibire.
N.B.: non sono consentite neanche le insubordinazioni inconsce e tutta la serie completa degli psicoreati.
Roberta, quali sono le ragioni profonde del vostro “no” a Expo?
I nostri no all’Expo sono tanti quanti i sì alle alternative che ci sono:
sì alla costruzione di comunità del cibo
sì alla riappropriazione delle terre incolte
sì alla custodia dei beni comuni
sì alla riproduzione dei semi
sì all’agricoltura contadina.
Un’alternativa, quindi, c’è, anzi, più d’una. Basta cercare nel libro di Michela e Roberta (presentato in anteprima nazionale lo scorso 27 febbraio a Firenze). Non ci troverete soluzioni, nuove tavole valoriali, paradigmi, ma una fucina di racconti, di storie di volti, sapori, odori, gesti. Di mercati e aziende agricole, di nuove colture e iniziative di lotta, dal Piemonte alla Sicilia.
Per comunicare la teoria a partire dalle pratiche.
Un invito al viaggio, anche, un percorso a tappe attraverso le nuove forme di resistenza contadina italiote. E, allora, invece di prenotare un Frecciarossa per Milano, da maggio a ottobre prossimi, fatevi un giro a Mondeggi, la fattoria senza padroni, a sud di Firenze, oppure passate da Urupia, la comune libertaria e azienda biologica del Salento, o, ancora, scendete giù fino in Calabria, dove incontrerete Cecilia e Alì.
Non importa dove. Seguite l’odore delle arance.
Lontano da Milano, lontano dall’Expo.
Giuseppe Bornino
[tratto da “Rivista Scioc” #1)