Resistenza non è la parola “figurina” da tirare fuori all’occorrenza a mo’ di amarcord. Resistenza non indica una fase storica lontana nel tempo, conclusa, compiuta. Resistenza è un modus vivendi e operandi, una visione del mondo ben precisa, quella di chi vuole essere protagonista dei cambiamenti, quella di chi non pratica l’indifferenza, ma la militanza. E militanza vuol dire inter-esse, stare in mezzo alle cose, forzare i cardini della storia, prendere posizione, sempre. La resistenza è partigiana perché si schiera senza paura, perché offre il petto al nemico, perché difende il territorio a oltranza, perché continua. Per questo, la resistenza ha avuto, ha e dovrà sempre avere carattere diffusivo e seminale, non valoriale. Trasformare la resistenza nel vertice, nella punta più esposta di un sistema di valori statici rischierebbe di renderla il catalizzatore di una filosofia della storia, di una visione onnicomprensiva e teleologica. Resistenza è un’attività in perdita, gratuita, un sacrificio. Emile Cioran, qualche tempo fa, a proposito di civiltà e occidente, scriveva: “una civiltà esiste e si afferma soltanto grazie ad atti di provocazione. Comincia a rinsavire? Segno che si sgretola. I suoi momenti culminanti sono dei momenti temibili, durante i quali la civiltà, lungi dall’immagazzinare forze, ne prodiga”.
Smaniosa di estenuarsi, una civiltà esiste fintanto che sperpera le proprie forze, con la zelante aggressività di chi lotta non per difendere il proprio orticello, ma per frenare l’intorpidimento generale. Una civiltà esiste ed è resistente fintanto che fa esplodere le proprie idee, urlandole al di fuori del mero schiamazzo ideologico.
Per questo ci piace ricordare la resistenza e non la “liberazione”, la liberazione come fatto storico, la liberazione come nottola di Minerva che giunge quando tutto è già compiuto, dall’alto, dall’esterno. D’altronde, sempre Cioran scriveva altrove: “l’America si erge di fronte al mondo come un nulla impetuoso, come una fatalità priva di sostanza. Niente la preparava all’egemonia. Al contrario di altre nazioni che dovettero passare attraverso tutta una serie di umiliazioni e di sconfitte, l’America non ha conosciuto finora che la sterilità di una fortuna ininterrotta. Se in avvenire tutto continuerà a riuscirle allo stesso modo, la sua comparsa sarà stata un accidente irrilevante”.
Il 25 aprile è il giorno della lotta che continua, non della liberazione, la lotta per la difesa del territorio e per la libera diffusione del sapere.
Il 25 aprile è Kobanê.
Il 25 aprile è NO TAV, NO MUOS, NO DAL MOLIN, NO EXPO.
@Giuseppe Bornino