Poco prima dell’ultima tornata elettorale turca, passeggiando per le strade di Atene il mio occhio è stato attirato da un’immagine riportata all’interno di un manifesto. Un albero stilizzato cercava di diramare la sua chioma tramite una miriade di foglie sospese che sembrava chiedessero di giungere a una loro sintesi, trovare ognuna un ramo sicuro da cui trarre linfa. Ogni foglia racchiudeva le istanze di etnie,minoranze e confessioni e il tronco da cui speravano di poter ottenere sostentamento e solida forza vitale era: Il Partito Democratico dei Popoli (HDP). In questo manifesto Syriza, che ha seguito e caldeggiato la campagna elettorale dell’HDP, richiamava al voto tutti i cittadini turchi presenti sul suolo ellenico rifacendosi alle radici comuni che quell’immagine stilizzata evocava: la classe dei lavoratori e i popoli oppressi.
Nella considerazione comune l’informazione ha voluto leggere nella presenza di questo partito, solo le istanze dei curdi e delle loro difficoltà all’interno della nazione turca. In realtà il partito del curdo Demirtaş ha un respiro politico, sociale e culturale ben più ampio, un partito libertario e social-radicale, nato dalla società civile come espressione di quei gruppi costretti a vivere ai margini a causa delle politiche neoliberiste e al quale è stato assegnato l’arduo compito di porsi come cassa di risonanza di coloro la cui voce è stata soffocata. L’AKP con le sue politiche sempre più volte al totalitarismo ha dimostrato negli anni l’inconsistenza delle opposizioni che nell’inseguire particolarismi non riuscivano ad esprimere univocamente i vari disagi della “pancia” turca.
Già Öcalan nel 2011 aveva messo in evidenza le carenze del BDP ( Partito della Pace e della Democrazia) che rivolgendosi unicamente alle istanze curde era riuscito ad esprimere soltanto 36 deputati, evidenziando come errore di partenza la marginalità della propria presenza parlamentare.
Altre volte la strada democratica per le rivendicazioni del popolo curdo era stata percorsa ma frenata nel nome della costituzione, sempre invocata nel momento in cui doveva imputare come reato il particolarismo richiesto dai curdi e visto invece come attentato all’integrità della nazione.
La novità dell’HDP consiste proprio nell’avere inserito in un ambito di politiche molto più ampie e generali la questione curda e di individuare come propria missione la rappresentanza di tutti i gruppi minoritari compresi gli aleviti, armeni, circassi, lazi, arabi e assiri e gruppi come le femministe, i disabili, le lesbiche, i gay, i partiti di estrema sinistra e gli ambientalisti. Ciò nasce dalla convinzione che nessuna specificità può ottenere riconoscimento a danno di un’altra ma solo l’accettazione e il rispetto di tutte le diversità può imprimere qualità ad una democrazia. Tutti i gruppi sopra citati esprimono un presidente che in un unitario sistema di copresidenza si propone di gestire le fila di un partito così ampio e complesso nella sua pluralità. Se riuscirà nel suo intento saprà veramente cogliere l’ampiezza e la ricchezza della variegata essenza della “porta d’oriente” riassegnandole un ruolo chiave e trainante in un Medio Oriente che sempre più sembra essere travolto dalla nera ottusità del Dā´ish.
Di Gabriele Leone