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L’accoglienza tra Mafia Capitale e razzismo

di Antonio Sanguinetti

Infuria lo scontro tra Maroni e Renzi, e la Lega Nord continua la sua partita sulla pelle dei migranti. Ma dall’inchiesta Mafia Capitale emerge il fallimento completo del sistema di accoglienza. Voluto proprio da Maroni al tempo dell’emergenza Nord Africa.

In queste ore Renzi e Maroni stanno giocando cinicamente una partita politica sulla pelle di migliaia di persone. Tutti si chiedono da che parte stare? In maniera istintiva viene da avversare il razzismo della Lega Nord pronta a demolire con le ruspe le richiesta di protezione dei rifugiati e, perché no, il sogno di miglioramento sociale ed economico dei migranti. Ma tuttavia un dubbia assilla questa discussione, siamo sicuri che perpetuare questo sistema di accoglienza sia la soluzione migliore? Ormai è un modello indifendibile, fallito fragorosamente sotto i colpi delle inchieste giudiziarie e l’incapacità politica amministrativa di gestire con politiche lungimiranti i nuovi arrivi.

La genesi di questo sistema ha dei nomi precisi, nel 2011 il governo Berlusconi con il ministro dell’interno Maroni varò l’Emergenza Nord Africa, nacque così il sistema di accoglienza attuale: mega centri con centinaia di posti, nel caso di Mineo migliaia, assegnati con chiamata diretta alle cooperative amiche in cambio di finanziamenti e pacchetti di voti. Il risultato di quell’esperienza è sotto gli occhi di tutti, i principali gestori dei centri sono stati tutti arrestati o sotto indagine. A dicembre è toccato alle cosiddette coop rosse guidate da Buzzi. La scorsa settimana è stato il turno di quelle bianche: La Cascina fin dalla nascita in orbita CL e membro della compagnia delle opere e Arci confraternita del S. S. Sacramento e di S. Trifone fondata secoli fa ma rigenerata di recente dal cardinal Ruini, questi due campioni dell’accoglienza si sono unite in una terza entità denominata Domus Caritatis che ha fato razzia degli appalti nel sistema delle migrazioni. La magistratura arriva nettamente in ritardo, le inchieste giornalistiche e le pubbliche denunce delle associazioni avevano fatto luce sul business molto tempo prima.

Mineo e Roma non sono due casi marginali ma sono il cuore stesso del sistema di accoglienza, uno è il centro più grande d’Europa, l’altra la metropoli che per volontà dell’amministrazione Alemanno è divenuto il principale hub per i rifugiati in Italia. Di fatto si tratta due colonne portanti per il funzionamento di tutto l’apparato, venute a mancare il sistema non esiste più. Né tanto meno si può pensare che si possa salvare consentendo ai comuni di eccedere il patto di stabilità o promettendo delle opere di compensazione in cambio dell’ospitalità dei migranti, un provvedimento quest’ultimo di particolare gravità perché immette il principio per cui i centri siano al pari delle discariche degli scompensi per le comunità da risarcire in qualche modo.

Il fallimento dell’accoglienza tutto nella logica della grande opera, che da una parte ha alimentato la corsa delle cricche politico/mafiose a depredare le risorse pubbliche, dall’altra ha impedito alle piccole associazioni o cooperative di accedere ai bandi. I comuni e le prefetture hanno voluto semplificare al massimo il governo dell’accoglienza, permettendo a pochi centri la capacità di ospitare migliaia di persone, in modo tale da affidare completamente a loro tutto il settore e di ammassare i nuovi arrivati in luoghi delimitati per controllarli più efficacemente. Ciò ha prodotto delle evidenti distorsioni. Per gestire i centri, infatti, oltre le mazzette sono necessari dei budget iniziali molto grandi. I soldi depredati da Buzzi e company sono attinti per la quasi totalità da finanziamenti europei che solitamente vengono versati come rimborsi a distanza di mesi dalla spesa effettuata. Nei primi mesi la cooperativa deve fornire i servizi e l’assistenza giornaliera a 100 e più persone solo con i propri mezzi, o chiedendo prestiti alle banche, questo iter lo possono seguire solo le grandi holding del terzo settore, già attive nel mondo della cooperazione. Del resto “La Cascina” è un’azienda che realizza fatturati milionari e la 29 giugno da anni gestiva il verde e altri servizi per il comune di Roma, dunque non proprio una piccola esperienza. Tutti gli altri, le piccole associazioni, i collettivi anti razzisti, sono tagliati fuori. Al contrario si è scelto di affidare tutto il sistema al mostro. Un caso che non ha precedenti nella storia, eccetto i più efferati regimi, in Italia in questi anni sono stati i gruppi razzisti e neofascisiti i responsabili del sistema di accoglienza.

Il mosto è stato creato da prefettura e governo, dal 2011 Gramazio e Carminati di giorno contavano i soldi e la sera organizzavano le manifestazioni contro i “clandestini”. Se oggi vediamo sfilare nel carcere i protagonisti di questa ennesima pagina tragica italiana, la logica della grande opera che li ha creati non viene scalfita. Né il sindaco di Roma, né il nuovo prefetto della Capitale (che al tempo dell’Emergenza Nord Africa era il capo della protezione civile, l’organo a cui venne affidata la dislocazione dei richiedenti asilo) né tanto meno il governo Renzi hanno messo mano ai piani di accoglienza. A riprova della continuità politica, nell’ultimo bando della prefettura di Roma per la gestione dei cosiddetti CAS (centri accoglienza speciale), vengono riproposti di nuovo i mega centri da 100 persone e per ironia del destino la fa da padrone la cooperativa Tre Fontane erede del sistema Arciconfraternita/La Cascina.

La polemica tra Renzi e Maroni non può fare contento nessuno, si tratta tutt’al più di una disputa tra chi come il Governatore della Regione Lombardia vuole cogliere la palla la balzo per fare il pieno politico con la retorica razzista, e chi come il Presidente del Consiglio non ha nessuna idea su come gestire la questione e dopo aver perso la partita per la distribuzione europea dei richiedenti asilo, si ritrova con la solo possibilità di continuare il sistema Buzzi/La Cascina/Arci confraternita sotto altre spoglie. In realtà una strada ci sarebbe, è l’accoglienza diffusa, per realizzarla basta mettere fine al concentramento dei migranti in strutture isolate e affollate, istituire un tetto massimo di 20 migranti per centro e consentire a chi davvero crede nella necessità di accogliere le persone in fuga dalla guerra di gestire i centri.

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