La riforma della scuola, sbandierata dalle forze di governo come uno dei grandi interventi volti alla modernizzazione del paese, altro non è che uno dei tanti meccanismi atti a ridurre diritti dei lavoratori, imporre l’aziendalizzazione e la privatizzazione di settori lavorativi fino ad ora ricadenti nella sfera del pubblico impiego. Lungi dal voler difendere l’idea del lavoro pubblico inteso come panacea di tutti i mali che oggi affliggono i lavoratori e le lavoratrici del pianeta, siamo, tuttavia, consapevoli della necessità di opporci alla una riduzione graduale dei diritti dei lavoratori, all’inquadramento in un rigido sistema gerarchico, alla valutazione poliziesca cui sottoporre lavoratori e studenti si
da poter quantificare economicamente le cosiddette competenze e capacità. Intendiamo pertanto rilevare, ancora una volta, la pericolosità della legge 107/2015 perché tende a promuovere la mentalità passiva da utenti di supermarket, l’asservimento e l’annullamento di ogni spirito critico e di ogni alterità di pensiero e azione. Oggi la riforma, malgrado si sia generata fra lavoratori e lavoratrici, studenti e studentesse, una forte opposizione, dopo un rapido iter parlamentare è stata approvata e messa in atto con una velocità che dimostra l’arroganza e la pochezza di chi vuol dare l’idea di efficienza e produttivismo per nascondere la pochezza delle proprie idee. Siamo innanzi a un attacco inedito alle tracce di libertà che si potevano respirare fino a non molti anni fa, siamo innanzi all’avvento di una nuova società dove il sospetto, la competizione e la necessità indotta di compiacere il proprio superiore onde poterne trarre vantaggi materiali caratterizzano la frammentazione degli individui che diventano sempre più, inermi strumenti asserviti e consenzienti. La riforma è oggi divenuta legge, migliaia di docenti precari sono entrati in ruolo, spesso lontano da casa ma, soprattutto, schiavizzati da una perdita di diritti e competenze: in tanti sono stati immessi in ruolo su altre classi di concorso nelle quali non avevano mai prestato servizio alla faccia del merito e della qualità, ma sappiamo bene che nell’attuale neolingua le parole assumono un significato direttamente inverso a
quello originario. Nel frattempo si prospetta un altro concorso a cattedra, insomma si reclutano tanti docenti per meglio assicurare allo stato lavoratori e lavoratrici con diritti crescenti e , probabilmente si sbandiererà questa carta delle assunzioni per fini propagandistici, ma sarebbe stato molto più sensato immettere in ruolo su tutti i posti disponibili rifuggendo dal tremendo meccanismo della graduatoria nazionale e dall’idea centrale che ispira il job act, ossia il lavoro a tutele crescenti. Intanto è interessante rifletter sulle sorti della protesta nel settore educativo. .
Tuttavia mentre alcuni si sentiranno forse rincuorati da questa populista assunzione tralasciano un particolare importante: questa è che il primo concreto atto che porta alla precarizzazione permanente del lavoro docente: nei
prossimi anni ci sarà senza dubbio, una forte ondata di trasferimenti di docenti e la conseguente immissione negli ambiti territoriali, in poche parole i docenti del futuro saranno tutti, docenti a chiamata gestiti direttamente dal
dirigente scolastico, con tutte le conseguenze che è facile immaginare. Come detto negli scorsi mesi si era generata una opposizione alla buona scuola che in molti casi ha tentato di opporsi al disegno di Renzi, tentando di mettere in
discussione l’intero sistema educativo statale, il più delle volte però la lotta è stata risucchiata dalle vecchie strutture dei sindacati di stato, dei sindacati concertativi e delle forze partitiche desiderose esclusivamente, di ottenere
visibilità elettorale. Migliaia di lavoratori e lavoratrici hanno riposto, senza probabilmente molta convinzione, la loro fiducia nelle strutture che incanalano la lotta e la privano, dopo aver promesso dura opposizione in piazza, del suo originario significato, per sedere ad un vuoto tavolo di trattative pilotate e gestite dal potere e assecondato
dai suoi servi. Ancora una volta lotta svenduta, come dimostrano, ad esempio, gli inefficaci scioperi degli scrutini ì dello scorso anno scolastico, scioperi meramente dimostrativi che non sono dannosi solo perché non ottengono significativi risultati sul piano della lotta sindacale ma sono deleteri soprattutto perché privano di forza lo strumento di sciopero e anticipano il sogno dei governanti che è proprio quello di eliminare lo sciopero, eliminare il
dissenso. Fino a quando si chiederà a qualcuno di aiutare la lotta, fino a quando ci si affiderà ai pompieri sociali e non si prenderà consapevolezza della forza dell’autorganizzazione , fino a quando vigerà il principio della
delega non vi sarà, probabilmente, alcuno scampo a questo stato di cose. Oggi numerosi lavoratori e lavoratrici, studenti e studentesse sono impegnati in azioni di protesta rispetto alla buona scuola ma non riescono a inquadrare
l’essenza del problema, ossia non riescono a cogliere quello che è il nodo fondamentale della questione e non emerge, con forza, la necessità di muovere una battaglia volta non ad ottenere piccole migliorie al sistema dato, bensì a modificare radicalmente lo stato di cose. La lotta nelle scuole deve praticarsi ogni giorno, sul posto di lavoro, tentando di modificare radicalmente il rapporto fra lavoratori e studenti in modo da allontanarsi dal sistema imposto di gerarchie, di aziendalizzazione. La scuola non deve formare i futuri lavoratori docili e asserviti al potere, la scuola che vogliamo è quella che aspira alla libertà di tutti e tutte, quella che fornisce solo strumenti per sviluppare il proprio pensiero critico, lontana dalla mercificazione e dalla mercificazione del sapere.
Maria Fortino