Patii la vergogna
di stare seduto
a guardare
il compianto
atterrito
di una suora
a terra
la seduta
resurrezione
di un bimbo
calcinato.
Tutti senza più
dignità,
mura umiliate.
Sassi
infinitamente
altro
se non della loro
finitezza
morta
nello
schianto
al destino,
nell’offesa fatta
al sonno
violato
da unghie affilate
insorte
dalla terra.
E il mio giorno
uguale,
inerme,
innocente
come al poeta
la terra
ci coprì
d’universo
e si unì al cielo
di calma luce dopo
il vento trema di infinito.
Soli siam soli
fra calcinacci
di stelle
il simulacro
della narrazione
ubriaca di costernazione
stanca lo schermo e
non sazia coscienza.
E il cuore
si fà compagno sconosciuto
agli instancabili
elenchi
avvolti
di macerie.
Quelle porte
domestiche
svelle,
io so solo questo,
non avrai più
mani
per chiudere e aprire.