Parla Anna Falcone, l’avvocato cosentino che lotta per la Costituzione
di Gianluca Palma
“Le dimissioni di Matteo Renzi hanno certificato la personalizzazione del referendum e la sua irresponsabilità. Dopo il 4 dicembre avrebbe potuto convocare un tavolo con i comitati che si sono opposti alla riforma, per entrare nel merito della questione, invece ha continuato ad anteporre sé stesso alla Costituzione”. Per quanto si è spesa – anima e corpo - nella campagna referendaria potremmo definirla “l’avvocato della Carta Costituzionale”. Anna Falcone, 44 anni, legale di professione, ex ricercatrice a contratto all’Unical, è la vice-presidente del Comitato nazionale per il No alla riforma Boschi. Nonostante il suo pancione da nono mese di gravidanza (a gennaio darà alla luce Maria Vittoria), ha partecipato a numerosi dibattiti sia nelle piazze, sia ai confronti in tv per spiegare le ragioni del No alla modifica della Carta. “Gli ultimi governi – accusa - hanno stravolto il rapporto tra economia e cittadino in barba ai principi costituzionali che sanciscono le libertà e i diritti individuali”.
Avvocato, a poco più di una settimana dall’esito del referendum, che dire del risultato? La vittoria del No è stata schiacciante, se l’aspettava?
Sinceramente no. C’è stata un’alta partecipazione a dimostrazione che i cittadini sono più maturi di quanto si voglia credere. È un risultato che va ben oltre la potenza di fuoco messa in campo dai partiti e che dovrebbe consigliare agli stessi analisi ben diverse da quelle che abbiamo sentito in questi giorni. In molti vogliono intestarsi la vittoria che invece è stata trasversale. Il Paese ha chiesto in massa che la Costituzione venga attuata.
Secondo lei e molti sostenitori del No la campagna condotta da Matteo Renzi è stata sbagliata.
Si perché ha assunto un atteggiamento molto negativo, come se non riuscisse a uscire da sé stesso, infatti ha commentato ai suoi collaboratori l’esito del referendum dicendo “non pensavo mi odiassero così tanto”. Dopo riforme disastrose come Buona Scuola, Jobs Act, la riforma della Pubblica Amministrazione, con quella della Costituzione voleva far credere ai cittadini che aumentando i poteri dell’esecutivo sarebbe stato più facile per il governo portare l’Italia fuori dalla crisi. Ma stavolta gli elettori hanno detto basta.
Ora c’è il nuovo governo con il premier incaricato Paolo Gentiloni, ma alcune forze politiche come Lega Nord e M5S, chiedono il voto anticipato. L’onorevole Alessandro Di Battista del M5S nei giorni scorsi parlava del programma di governo: espulsioni degli immigrati irregolari e referendum per uscire dall’euro. Ce li vede a Palazzo Chigi?
Io non ho paura della democrazia e credo che i cittadini italiani siano molto maturi nello scegliere da chi farsi governare. Chi viene eletto, dal canto suo, deve dimostrare di saper guidare il Paese con responsabilità. I populisti non eravamo noi sostenitori del No, ma chi dall’altra parte ha condotto una propaganda populista incutendo timore alla popolazione. Ma, come abbiamo visto tutti, il 5 dicembre non c’è stata nessuna catastrofe, le borse non sono crollate e l’economia non ha subìto contraccolpi.
Stando all’analisi del voto, a decretare la vittoria del No sono stati soprattutto i giovani, quelli che stanno accusando di più la crisi, vittime della precarietà e della disoccupazione.
Il loro è stato il vero voto libero e, per usare il gergo in voga negli ultimi tempi, hanno “rottamato” le politiche economiche iperliberiste del governo. Se la Costituzione fosse attuata, invece, le riforme metterebbero al centro i diritti individuali e sociali.
In Calabria il No è andato oltre il 67%. Durante la campagna referendaria il premier Renzi era tornato a parlare di Ponte sullo Stretto e il 22 dicembre avrebbe dovuto inaugurare la A3 Salerno-Reggio Calabria. I cittadini hanno bocciato anche le grandi opere?
Sono orgogliosa della risposta del Sud. Le fasce più deboli della popolazione si sono riappropriate della democrazia e hanno respinto le politiche del governo. I cittadini del Mezzogiorno hanno lanciato un chiaro segnale anche alla classe dirigente locale che stringe accordi con i politici nazionali svendendo i territori. La politica in Calabria è in mano ai ras locali che gestiscono la cosa pubblica come una proprietà personale, ora c’è bisogno di fare piazza pulita anche in questo senso.
Si riferisce a qualcuno in particolare?
Mi riferisco ai troppi politici calati dall’alto con le liste bloccate dell’Italicum, che hanno garantito loro l’elezione facile. Al Sud servono politiche di contrasto alla povertà e l’intervento dello Stato è necessario per aiutare le regioni in difficoltà. Se il fondo perequativo previsto dall’articolo 119 della Costituzione fosse stato attuato, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, il welfare e l’assistenza sociale al Sud sarebbero efficienti, non una moneta di scambio da barattare a ridosso delle elezioni.
Quali saranno le prossime battaglie del Comitato per il No?
Presto ci riuniremo con gli oltre 750 comitati territoriali per promuovere nuovi appuntamenti, come il referendum sul Jobs Act per il quale la Cgil ha raccolto oltre 3 milioni di firme. Non ci interessa andare subito alle elezioni, continueremo a lottare per una la legge elettorale che rispetti l’uguaglianza del voto. Come diciamo noi giuristi, il governo ha attuato l’inversione dell’onere della prova, addossando a noi la responsabilità del suo fallimento dicendo: “adesso proponete voi una nuova legge elettorale”. Nei mesi scorsi tanti costituzionalisti, me compresa, sono stati auditi in Commissione Affari Costituzionali per un parere sulla riforma, ma le nostre proposte non sono state prese per niente in considerazione.
Lei ha militato nel Psi, poi è stata candidata in Parlamento con Rivoluzione Civile nel 2013, adesso si è spesa con energia per il referendum. Pensa di candidarsi alle prossime elezioni politiche?
Io rappresento un comitato civico per la difesa della Costituzione, ho lasciato il Psi quando mi sono accorta che non rispettava il suo statuto. Attualmente non sono iscritta a nessun partito e non ho intenzione di farlo finché non rispetteranno il metodo democratico previsto dall’articolo 49 della Costituzione. Continuerò certamente a battermi per la difesa della Carta e della democrazia partecipativa contro qualsiasi deriva plebiscitaria perché la stagione costituzionale non è finita.