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Come si diventa docenti universitari (di Franco Dionesalvi)

Un amico docente universitario, quando commenta azioni, comportamenti umani, tende spesso a concludere “è una questione di do ut des”. Lui lo dice con amara ironia, ma si riferisce a un modo di intendere i rapporti che è frequente nel suo mondo.
Ora un intervento della magistratura ha tolto il coperchio a una maniera di concepire i concorsi e le acquisizioni di posti assai frequente nelle nostre università, anche se è chiaro che si è scoperta l’acqua calda. C’è da sperare che si vada fino in fondo, e che non ci si limiti a un singolo settore di una singola università.
Ma il problema è assai complesso. Perché è sulle baronie che si regge da sempre tutto quel sistema. Non sempre e ovunque, certamente. Ma spesso e volentieri. Allora come si fa a bonificarlo? Quei docenti considerano il potere di scelta di ricercatori e simili come una prerogativa del loro status. Nutrono un sentimento di invidia verso i politici, che hanno più potere pur essendo ben più ignoranti di loro; e scaricano la frustrazione imponendo diversi anni di servitù della gleba ai giovani e alle giovani che puntano, dopo una decina d’anni di ossequiosa dedizione, ad entrare nella casta dorata dei docenti universitari.
Occorrerebbe delegare il potere di scegliere i docenti universitari, di comporre le commissioni dei concorsi, a persone che non appartengono alla categoria. Ma a chi? A docenti delle scuole? A magistrati? A giornalisti? Non funziona, perché il “do ut des” scatterebbe comunque. Chi non ha un figlio o un nipote che vorrebbe veder superare gli esami per i quali è negato; e in cambio concederebbe al barone qualsiasi cosa chieda?
C’è un’unica possibilità. Far scegliere i docenti universitari ai carcerati, mettere detenuti come commissari nei concorsi per docenti ordinari e associati. Quelli, i baroni non riuscirebbero a manovrarli facilmente. Perché è vero che, cominciando ad essere arrestati, proverebbero a corrompere i detenuti. Ma, per ottenere da un carcerato un dolce o un bicchiere di vino, se anche gli offrissero in cambio un dottorato di ricerca come do ut des, ne otterrebbero di risposta solo una grossa risata.

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