Sono uniti dall’esperienza di un lungo viaggio per raggiungere un futuro migliore in Europa compiuto senza un adulto di riferimento. Si tratta dei minori stranieri non accompagnati. Secondo i dati raccolti al 26 novembre dal ministero dell’Interno sono il 15% dei migranti giunti in Italia via mare nel 2018. Anche se il Governo italiano con il “decreto sicurezza”, approvato in via definitiva dal Parlamento, intende razionalizzare il ricorso al Sistema di protezione per i minori stranieri non accompagnati, nel 2017 le domande di protezione internazionale presentate da questa categoria sono state circa 10 mila. E gli alunni con cittadinanza non italiana nell’a.s. 2016-17 hanno raggiunto il 9,4% dell’intera popolazione scolastica.
Questi numeri aiutano a delineare un tema. Come includere i migranti nel percorso educativo nazionale e, quindi, nella società che li ospita. «Gli Stati di accoglienza hanno il compito di integrare i migranti nei sistemi educativi. Serve una preparazione adeguata degli insegnanti, anche per combattere i pregiudizi», è il monito dell’Unesco nel rapporto mondiale sull’educazione 2019. Da queste prerogative è partito Enable, progetto transnazionale che intende sviluppare un modello formativo per supportare i minori rifugiati nel rafforzare le proprie competenze. Lo hanno illustrato le ricercatrici Valentina Zecca e Sara Mazzei nell’aula Caldora dell’Università della Calabria. Enable è un progetto Erasmus+ a cui partecipano il Dipartimento culture, educazione e società e il laboratorio Occhialì dell’Unical con l’Università di Schwäbisch Gmünde, l’ong Back on Track (Germania), l’Università di Gävle (Svezia) e l’Università di Muğla (Turchia).
Spiegano le due curatrici, che fanno parte del centro studi Occhialì (su Radio Ciroma conducono la trasmissione Naranj) diretto dal prof Alberto Ventura: «Spesso ci troviamo a citare classifiche e statistiche sugli arrivi ma parliamo di persone e non di numeri. L’idea nasce tra Svezia e Germania proprio sulla spinta dell’arrivo di profughi siriani. Si intende, da un lato, includere i ragazzi rifugiati nel sistema formativo ma anche aumentare le competenze di educatori e mediatori culturali». Continua Valentina, 34 anni: «Ci troviamo difronte a lacune educative di soggetti vulnerabili. Nel primo workshop di Enable che si è tenuto al Social lab di Berlino nel mese di febbraio abbiamo iniziato a raccogliere con gli altri partner informazioni e bisogni formativi della comunità arabofona. In particolare, la ong tedesca Back on Track lavora da anni sull’integrazione scolastica dei minori siriani rifugiati Lì ci siamo focalizzati su questa comunità ma il progetto è aperto a qualsiasi nazionalità».
La metodologia scientifica impiegata nei workshop di Enable, hanno spiegato Zecca e Mazzei, intende favorire soluzioni adatte al contesto d’origine e alla cultura di appartenenza per rafforzare l’efficacia nell’apprendimento dei minori rifugiati. Nel giugno 2018 il team di lavoro è stato all’Unical per una tre giorni, a settembre sono volati in Svezia e a gennaio 2019 visiteranno la Turchia. Dalle idee e le testimonianze dirette raccolte negli incontri lanceranno una piattaforma online di apprendimento e materiale didattico per insegnanti scolastici e mediatori culturali.
«Il confronto con l’esperienza tedesca e svedese è centrale per comprendere le politiche multiculturali» sostiene Sara, 29 anni. Aggiungendo come «in Italia gli indirizzi e i principi sostengano l’interculturalità ma in pratica le risorse siano frammentarie e manchi un coordinamento centrale, in attesa anche delle nuove disposizioni in materia…».
In conclusione, alcuni operatori che lavorano nel settore dell’accoglienza hanno espresso perplessità sulla prassi diffusa di procedere all’iscrizione dei minori rifugiati presso i CPIA che li pone in un ambiente frequentato anche da adulti, non sempre didatticamente adatto alla loro età e separati dai loro coetanei. Annalisa, 28 anni, operatrice allo Sprar di Celico, segnala: «Due ragazzi di 16 anni presenti nel nostro Sprar non si possono iscrivere alle scuole superiori perché non hanno un certificato di licenza media». E Karima, 34 anni, mediatrice culturale da 12 anni in Italia, sostiene: «I ragazzi devono imparare la lingua del luogo in cui vivono. E non credo aiuti farli andare in paesini, dove hanno difficoltà a comunicare».
PV