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Ora è quando

Oggi ci troviamo più che mai in un’ Europa subalterna al progetto social finanziario che sta trasformando, per altro, la democrazia sostanzialmente una delega all’élite, sta depotenziamento la scuola pubblica di massa ad ogni livello e grado, manipola a piacimento i media, adultera i bisogni di massa. Questo progetto è stato capace di creare su faste fasce popolari un’egemonia culturale che riconosce come “naturale” il pensiero unico neoliberista che s’invera nella sussunzione popolare delle forme di vita (non è un caso che si scambia con estrema facilità l’economia domestica quotidiana con quella macro economia statale o meno che sia, è dato “oggettivo” per molti individui che funzionino con le stesse modalità) alla retorica e al popopolarismo che porta al darwinismo dell’imprendere se stessi come modello evolutivo e progressivo. Altresì si fa avanti l’idea del monadismo nelle relazioni sociali. È l’Europa del thatcherista “non esiste una cosa chiamata società: esistono solo individui”. La politica della Troika esemplificata dal principio morale, etico-protestante, prima che economico, dell’austerity, rischia di produrre insanabili crepe nei legami collettivi e comuni che nel tempo si sono solidificati per bisogni generali e interessi di classe. La crisi dell’anno VII, con il duro e forsennato attacco a sovranità popolare e spazi sociali conquistati nel tempo dal movimento operaio e acquisiti dalle moltitudini, non ha portato allo sviluppo di grandi movimenti di protesta. L’esempio classico? E’ da sette anni che nel movimenti, s’è fatta strada, ad onor del vero con fatica, la richiesta del reddito, detto: di cittadinanza, di base, d’esistenza, diciamolo come volete. E’ stato declinato nei modi più convincenti e tecnicamente inattaccabili sotto il punto di vista della teoria rivoluzionaria. Eppure, chi doveva farsene carico, i giovani, i precari, i senza lavoro, l’obiettivo non se lo son filati neanche un po’. Questo perché si è avuta l’idea malsana che bastasse individuare un obiettivo “giusto” e di per sé, dopo un solo lavorio concernente la coscienzialità, et voila le moltitudini sarebbero insorte. Non è mai stato così, né lo sarà se non in alcune fasi storiche particolari. Anche quei settori di classe (penso alle occupazioni di case, alle lotte per la difesa dell’ambiente in tutte le sue variegate forme) che hanno espresso cicli di lotta con un alto livello di conflittualità non sono riusciti a creare estese aggregazioni sociali che coinvolgessero le diverse forme del lavoro vivo e i livelli di vita messa al lavoro.
Da qui è necessario partire non per farci un bel pianto, ma per guardare in viso, senza infingimenti, quanto ci sta intorno. Partire da qui, riconoscendo la larga egemonia “inculturale” del neoliberismo sulla nostra società. Quell’egemonia capace di generare un senso diffuso di rassegnazione e di ritorno al personalismo e che ha finito col rinforzare “passioni tristi” come il risentimento e l’invidia, la moralità. La rabbia sociale è stata arruolata ad arte da massmedia e venditori di fumo, alla guerra fra poveri.
Oggi più che mai è necessario passare dai processi di lotta puri e duri a qualche forma di vertenzialità per dare forma e definizione ad una soggettivazione aperta al Comune.
Con Syriza a Podemos, il rifiuto delle politiche dell’austerity ha raggiunto livelli estesi fra la popolazione e raggiungendo potenza di massa. E il successo di Syriza apre nuovi scenari per la costruzione di una lotta di classe diffusa. Senza se e senza ma. Non vogliamo stare a determinare la natura dei due partiti o dare voti e certificare con bollino la loro qualità rivoluzionaria, ad altri lasciamo il compito. A tutti coloro che nei movimenti amano passare il proprio tempo a far le pulci su avverbi e sostantivi correttamente o meno declinati pena la non riuscita di ogni rivoluzione!
Qui interessa, fra i mille limiti immaginabili, capire che le esperienze di Syriza e Podemos hanno avuto la capacità di riuscire a intercettare e coalizzare, necessità diffuse fra i molti che si sono opposti allo stato presente di cose imposto dalla Troika fino a spingere le forme governative a rinegoziare e/o eliminare misure abominevoli come il Fiscal compact e il Patto di stabilità, senza ricadere nel patto di mediazione patriottico-nazionalista anti Ue.
In questo Syriza e Podemos hanno dato all’ opposizione una prospettiva di protesta e intrusione nei palazzi del potere. Uscendo dalle logiche ormai ridondanti di chi ama sguazzare nell’orizzonte di spazi liberati come unici possibili conquistati alla buona vita e che finiscono per ridurre tutto a forme del esistenzialismo che spesso trovano riparo, logica e fine ultimo nella minorità liberata.
Anche in Italia si può tentare di costruire un progetto politico che abbia nell’organizzazione (chiamiamola come ci pare! Ma di questo si tratta) tesa all’arte del portare scompiglio nelle sale del governo. Capace di rivendicare per sé di essere l’unica forza accreditata a ricostruire la Sinistra di classe. Ogni orpello socialdemocratico è morto e sepolto, con la fine della società della produzione manifatturiera. La morte del welfare classico ha trascinato nelle sue rovine ogni ricomposizione appunto socialdemocratica capitale-lavoro.
Dobbiamo puntare alla ricomposizione politica della classe. Costruire inventare. Nulla è dato!!!! Con forme che non si rifacciano pedissequamente alla dottrina della novecentesca rappresentanza-delega dei movimenti, né in un’ottica di “presa del Potere tramite i gangli dello lo Stato”, come soluzione unica e definitiva.
Certo con la coscienza di stare “costruendo su un vulcano” e magari anche in modo contraddittorio ma nella consapevolezza che fabbricare estensioni di autonomia a più libertà e contro-potere non può mai esimersi dal sostenere in un qualsiasi modo la questione di quale forma d’organizzazione il costituente deve darsi. Nella prospettiva di conquistare quanto più potere sia possibile, di forgiare una coalizione che abbia nel suo dna lo sforzo continuo del rimando fra l’articolazione del sociale e la costruzione-invenzione del Comune. Questo vuol dire rinunciare all’ antagonismo? Per nulla se saremo capaci di dare vita a questa fonte coalizzativa, che va posta al di là e al di qua del Pubblico e del Privato, al di là e al di qua, dello stesso sociale e del Comune, nella direzione di una nuova costruzione della Politica dentro e contro. Noi sappiamo che le lotte, senza delega, sono atto creativi e indispensabile di potere, ma altresì sappiamo che non bastano, per ogni trasformazione dell’ esistente sono le condizioni sine quam non ma di per sé non sufficienti a computare e accumulare forza all’agire sociale che in ultima istanza necessita all’atto della ricomposizione politica. Non si va avanti con lustrate lotte, o per accumuli di esse, seguendo candidamente pulite e rivoluzionarie di Occasioni estemporanee. Ci vogliono visioni e utopia, consequenzialità avanzante, capaci, ancora, di essere sponda, meglio testa d’ariete del sociale
Ma guai se ci prestiamo a ricomporre pezzi di vecchi sistemi dei partiti. Dobbiamo rompere quel amalgama sociale, fatto di lavoro vivo e di sussunzione sociale, su cui l’accumulazione finanziaria va costruendo le proprie fortune e il Pd i propri voti. Dobbiamo raccogliere energie in quello spazio aperto che non è neoliberale e non è socialdemocratico e che le lotte per la riappropriazione del Comune hanno da tempo prefigurato come unica possibilità politica per uscire dalla crisi. Creare rottura di quell’intervallo irreale tra spazio politico e spazio sociale, che ci ha relegato nella produzione di virtuose opinioni rivoluzionarie.
Dobbiamo cercare di dar vita a una nuova forma organizzativa, questo Syriza e Podemos ci sbattono sotto il muso. Sperimentando quanto si vuole ma non prescindendo dal mette al centro di ogni iniziativa il Comune e la composizione sociale di chi è oppresso. Con pratiche, per dirne alcune, di welfare dal basso, con la riappropriazione di tempi e spazi socializzati, dando forma al sindacalismo di base, estendendo e difendendo le lotte di difesa e il controllo del territorio e dell’ambiente per radicarle alle funzioni di decisione politica.

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