Sedici lavori in 30 anni di carriera sono significativi di quanto la band inglese abbia fatto nella musica estrema tout cour. Codifica di uno stile, in primis, il grind, che dalle session alla BBC di un lungimirante John Pheel ha avuto la genesi, poi lo stravolgimento, o l’evoluzione se volete, nel corso di ogni album. Grind evoluto per quanto riguarda l’aspetto prettamente musicale, un modo di comporre e di arrangiare di Shane, Mark, Mitch e Danny in ogni singolo brano che ancora oggi alza l’asticella di quel tanto da tenere i nostri in cima alla classifica dei ragazzi cattivi del Metal e non solo. Successore più che degno di Utilitarian, Apex Predator – Easy Meat” conferma e continua sul filone più prettamente hard core della musica, non facendosi mancare nulla, dal death all’industrial alla Killing Joke, giusto per fare un nome. Per non parlare poi dell’intelligenza dei testi, lontani anni luce dai tanti che professano la fede dell’estremo fatto in musica. La genesi del predatore ha radici lontane, nel Bangladesh quando nel 2013 il crollo del Rana Plaza fa più di un migliaio di morti, trattati dai mass media semplicemente come un numero. Uno sguardo quindi ad un perimetro molto ampio, verso le aree più povere del pianeta, fatto di nuovi schiavi ed ancor più nuove prigioni. In pieno stile Napalm Death. La band è in forma smagliante, piena di idee e con ancora tante cose da dire e davvero poco, molto poco da dimostrare.