«Cibo troppo cotto?». Ma Ciroma non significava «chiasso»? Sì: «Adunata di gente». Non confusione fine a se stessa ma casino costruttivo. Come le riunioni in cui Piperno (periodo via Sabotino, soprattutto) prendeva la parola per ultimo e andava in freestyle fino a notte fonda mentre tutti stavano a sentire e guardare assorti, senza farsi mettere in fuga nemmeno dalla “tanfa” di fumo; qualche capannello attorno, fuori dallo stanzone. Agorà? Sì, pure. Ma con la variabile litigio. Anche feroce. Dal Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, pietra miliare di Gerhard Rohlfs (Longo Editore, 2002, edizione interamente rielaborata, ampliata e aggiornata) scopriamo che in una zona della Calabria (il glottologo tedesco la classificò come R5, nel Reggino) ciroma deriva da «Kéroma = unguento», da qui l’accezione di «cibo troppo cotto». Invece il 14 febbraio si festeggia una radio che in 25 anni non s’è mai scotta. Ognuno racconta la propria Ciroma. A ciascuno i suoi programmi preferiti (i miei: “Taz – Zone Temporaneamente Autonome” e “La nave di Protesilao”), a ognuno il proprio racconto di come sei entrato e con chi hai parlato quando ti sei proposto, di come si chiamava il tuo programma, quando ti hanno cazziàto la prima volta al telefono. La radio è anzitutto il trionfo della parola, parlata – spesso biascicata, quelli con la voce impostata che spingono sul diaframma sono davvero pochi – e cantata-suonata. È un’esplosione di parole (l’omaggio di Ernesto Orrico rende bene la percezione della Ciroma nel tessuto cittadino) che dura da un quarto di secolo, e si festeggerà nel giorno di San Valentino. Per capire quanto amore c’è dietro. Anche nei momenti e nelle fasi di (presunto) odio – parola grossa, sì.
Le rotture e gli scazzi ci sono sempre stati, in tutti i posti, figurarsi nel tempio del libertinismo e dell’approccio anarchico (non anarcoide) alla vita, quindi al microfono. Per i detrattori, i ciromisti sono i «figliocci di Mancini» poi divenuti «figliocci di Eva» e via dicendo. Chi c’è dall’inizio – da prima che nascesse – può raccontare benissimo cosa sia stata Ciroma anche nel suo rapporto con la politica cittadina. È giusto che sia così. Ma per molti rimarrà il posto in cui abbiamo annusato da protagonisti il profumo della libertà dicendo le cose in cui credevamo e proponendo (propinando) la musica che ci piaceva. Una palestra negli anni del dopo-Pantera, delle posse, dei centri sociali. Poi un laboratorio dove sperimentare la potenza del web, a partire dall’esperienza di Genova 2001. Uno spartiacque, come l’operazione no global dell’anno seguente. Gli Anni Zero. Questi anni. «Non mi cambierete quel che ho dentro».
Qualcuno continua a proporre una “normalizzazione” della testata, una strutturazione – come si dice oggi – gerarchica, e il dibattito su pubblicità sì-no è qualcosa di carsico che talvolta riemerge.
La categoria dell’EX ciromista non esiste: anche se non fai più un programma – se non «versi la quota», se non sai che quando salta il segnale la parola magica da dire è (ancora?) «Lappano», se non partecipi più alle riunioni, se non devi più ricorrere all’espressione «mo’ ci cacciano» quando sei un adolescente entusiasta e pisci fuori dal vaso, se non stai al banchetto delle iniziative di autofinanziamento, se purtroppo non puoi più ricordare le «coordinate» benché lo facessi fin da quando non c’era prefisso (per il telefono bastava «28250», anche per il fax) né sito internet, se ti piaceva tantissimo dire al microfono «centocinquepuntosettemegahertz» e ti faceva sentire utile piuttosto che importante –, il titolo di «ciromista» è perpetuo come il vitalizio dei deputati, come quando sei anche per una sola volta senatore o direttore e pure dopo che decadi lo sei a vita. Ciromista è chi per almeno una volta ha capito cosa sia la Ciroma, anche senza entrare nella/e sede/i della radio. Se ci sei entrato una o più volte, se ci hai passato una fase intera della tua vita, se hai trovato lì l’amore, se lì hai vissuto le prime delusioni – sto diventando patetico, è vero – insomma se quell’«unguento» è stato per te davvero un balsamo, se hai respirato quell’aria sai di poterla riconoscere anche se ti sei perso gli ultimi passaggi, visto che in un certo modo ti sei normalizzato-decotto pure tu, con gli anni («Non mi chiedere se ho vinto o se ho perso»). Però, soprattutto nelle ricorrenze come in questa tonda tonda di San Valentino 2015, sai che la non frequentazione mica ti rende un estraneo: è come col compagno di banco al liceo che non vedi da anni perché lui ha studiato fuori e ormai vive lì mentre tu sei rimasto a Cosenza.
«So ancora guardare in alto / e perdermi nel cielo». Auguri.
Un (ex…) ciromista
Dal sito https://alessandroeditori.wordpress.com/