I was blind, now I can see
You made a believer out of me
I was blind, now I can see
You made a believer out of me
I’m movin’ on up now
Getting out of the darkness
My light shines on
My light shines on
My light shines on
Se la musica è l’ineffabile per eccellenza, la morte di chi l’ha fatta, amata, supportata, divulgata, esportata, allora, non esiste. Perché ci sono persone che si occupano di qualcosa, svolgono diligentemente un mestiere, fanno carriera, e poi, ci sono persone in cui vita e passione coincidono, senza mezzi termini, senza sconti. Stefano Cuzzocrea faceva parte di questa seconda fetta d’universo, una fetta disposta a mettersi continuamente in gioco, con talento, perseveranza, competenza, euforia. Quell’euforia che ieri si è spenta, ma solo per un attimo, anche questo ineffabile come il suono della musica. Un’euforia pronta a riesplodere, da Paola, a Cosenza, a Roma, ogni volta che il sorriso malandrino e generoso di Stefano farà di nuovo capolino: in una foto, in un ricordo, nelle parole. Anche in queste.
PICCOLA AUTOBIOGRAFIA A ONOR DEL BAFFO (Stefano Cuzzocrea, 21 aprile 2012)
Come si comincia una biografia? Appartengo alla classe 75 e sono uno di quegli sfigati che ha iniziato ad usare il computer, poco prima dei 30 anni, per scrivere la tesi di laurea, va bene? Oppure sto impratichendomi solo adesso a masturbarmi con la mano sinistra perché nei picchi di autoerotismo adolescenziale ancora non ci si faceva le seghe su internet; va meglio? Cercherò di essere più breve. Sono nato in provincia. Ma non una provincia qualsiasi: una provincia calabrese, precisamente a Paola, vicino Cosenza. Non cascate nei luoghi comuni tipo ‘ndrangheta però: certe cose le si nota da grandi, anzi a Milano oltre alla ndrangheta hanno la mafia, la camorra, la sacra corona unita e un po’ di cose simili estere, ma non se ne accorgono neppure gran parte degli anziani.
Io grande ho iniziato a diventarlo presto: quattro mesi dopo il mio ventesimo compleanno è nata mia figlia Gaia. All’epoca ero un universitario fuorisede nella Capitale e facevo il rapper. A quell’età, oltre a non aver dimestichezza con l’amore, non si sanno prendere scelte pratiche e ho avuto un gran culo. Sì, perché con la mamma ho rotto tre anni dopo, però oggi Prole (così la chiamo) sembra la mia ragazza: ci scambiamo i dischi, mi fa le foto, usciamo assieme, insomma ci diamo una mano a diventare adulti.
I primi problemi da adulto li ho vissuti a 22 anni: ho avuto qualche problemuccio di salute, in seguito al quale ho mollato il rap, mia moglie mi ha mollato e, quindi io ho mollato il lavoro e la Calabria e me ne sono tornato a Roma a studiare. Avrei dovuto studiare giurisprudenza e, invece, ho fatto un bel master in street life, ma che c’entra? Mi sono laureato lo stesso in entrambe le cose, ma dopo un bel po’. In quegli anni si andava ad un sacco di feste in posti occupati, ci si ritrovava alle Aulette Blu e ne si è usciti vivi per un pelo. Tra l’altro, proprio in questi giorni, sono felicemente venuto a conoscenza che la 25ma ora è finita proprio per tutti gli amici di quel periodo.
Io mi ero dileguato appena in tempo. Eliminato il superfluo, mi ero messo fare due lavori, uno di giorno e uno di notte. Il primo era legato a dei bandi, vinti come borsista, di quelle truffe ai danni dei contribuenti reiterate da aree svantaggiate dell’U.E. e burocrati corrotti di Bruxelles. Devo a quel periodo una grande statuizione: anche un nazista esaltato come Bossi non è completamente nel torto (e oggi è il 7 aprile del 2012 ndr). Il mio primo programma radiofonico si intitolava Controcorrente, non a caso. Era la mia direzione già nel 1989 quindi. Alla radio devo l’imbastardimento dei miei gusti musicali: ho scoperto tardi di essere semplicemente logorroico e, dunque, all’epoca , pensavo che fosse per il mio talento che mi facevano condurre anche trasmissioni pop pomeridiane. Comunque ero un rockettaro di merda e ne sono uscito cambiato. Tant’è che due anni dopo ho iniziato rappare.
La cricca era ricca di gente adesso piuttosto conosciuta, faccio solo i nomi più grossi: Lugi, Fiume, Macro Marco e Kiave. A dire il vero Kiave e Macro in quel periodo erano dei bambini. Kiave veniva alle jam e mi è sempre rimasto affettivamente attaccato per i miei sforzi di quel periodo. Con Marco siamo amici di famiglia, anzi lui ha iniziato a sentire quel suono ascoltando le prove della mia posse da casa sua: siamo anche vicini di casa. Coi piatti si è impratichito sotto il mio tetto coniugale e ha imparato in fretta. Ma sono storie vecchie: ormai anche sua madre ci ha perdonato entrambi per aver privato la medicina di un grande dj chirurgico.
A scrivere ho cominciato presto: a 8 anni ho vinto un concorso, portando a casa 500 mila lire; il tema si intitolava “Violenza e non violenza nella problematica umana”, ho fatto inconsapevolmente della apologia alla lotta armata ancora prima che mi crescessero i baffi puerili. Ho smesso di rasarli verso i 22/23 anni. Ma fino al 2005 portavo il pizzo e i capelli a zero. Poi la barba e diventata bianca, mentre scoprivo di non essere calvo, e ho cambiato look.
Dovrei parlare del lavoro, vero? Adesso faccio il manager per una ditta che si occupa di abbigliamento, Indieretail, al momento curo un loro progetto con Carhartt. Mi hanno cercato loro, ero in Calabria per la prima serata della rassegna Always Never Again e si è svolto tutto troppo in fretta per pensarci su: mi hanno chiamato di venerdì, sabato ho fatto il colloquio e lunedì lavoravo. Però continuo ad occuparmi anche di musica, giornalismo e comunicazione, non potrei farne a meno. Ho sviluppato uno stile narrativo abbastanza personale e come copy sono estroso.
Ho iniziato con Rivist@ e Round Robin Editore, poi è stata la volta dei mensili specializzati Muz e Basement, intanto collaboravo con il Rototom, pre-migrazione, e un quotidiano del gruppo Paese Sera chiamato Calabria Ora, per il quale ho fatto il redattore e poligrafico, oltre che il giornalista. Al momento potete leggere i miei deliri sui siti di Rolling Stone e Max, la carta è un po’ bandita a noi periferici. Però esco in edicola su Rumore, per un mio buon karma che mi vuole far quadrare il cerchio e collaborare con le voci di Stereodrom, il programma radiofonico che ascoltavo in cuffia, da bambino, mentre mia mamma faceva grandi sogni. Io non sogno più, ma solo perché non ho un minuto libero. I pochi che mi restano sono dedicati ai postumi. Mi piacciono le donne more e le birre bionde, c’è qualcosa di male? A proposito, vorrei conoscere tua sorella…
(La presente autobiografia è stata scritta non per vanità, assoltamente, ma poichè serviva ad un collega per trarne alcune risposte edite in un’intervista, che ha ad oggetto i miei baffi).