Tra le pieghe dell’eredità gramsciana si trovano spesso delle indicazioni che per la loro semplice veridicità non sempre sono individuate come di portata essenziale per la visione di una società che oggi più che mai manca di quel respiro indispensabile che la renda vivibile e fruibile ai suoi membri. Uno di questi casi è l’importanza che egli assegna alla cultura nella evoluzione della presenza della donna in ambito sociale. Dalle lettere dal carcere è stato tratto un florilegio, riguardante tale punto fondamentale della struttura sociale che si è coagulato intorno alla figura della nipotina “Mea” e della sua educazione. Ivi, Edmea assurge per Gramsci all’emblema della donna che nell’ambito della comunità piccolo borghese dell’epoca fascista rappresentava la vaghezza, la leggerezza ma anche l’inconsistenza di valenza personale, legata com’era ad un ambiente che comunque la sballottava dalla potestà patriarcale a quella maritale, negandole sostanzialmente l’attorialità delle scelte, scelte che venivano comunque ignorate, se non conculcate anche in ambito politico già prima dell’epoca fascista.
La nipotina Mea diviene quindi soggetto da “educare” cioè da condurre attraverso un percorso che la sollevi da uno stato iniziale di inconsapevolezza e destrutturazione caratteriale al conseguimento di una forza morale e una disciplina interiore che la sorreggano allo scopo di “accumulare in lei ricordi di forza, di coraggio, di resistenza ai dolori e alle traversie della vita.”[1]. Tutto ciò, per Gramsci deve perseguire lo scopo di una formazione organizzata di vita interiore che abbia precisi valori di riferimento morale. Ella infatti deve sapere perché il padre, lo zio , subiscono esilio e carcere in ragione degli alti ideali cui sacrificano libertà e famiglia. Ma l’educazione di Edmea non si ferma a questo perché momento importante anzi fondamentale della sua prassi educativa è l’applicazione ai doveri scolastici e allo studio in generale, lo svilupparsi del suo senso del dovere, dell’approccio metodico e motivato all’impegno in senso lato. E se quest’ultimo vale come crescita ed espansione della umanità che è in lei, l’impegno scolastico è l’arma attraverso la quale lei, in quanto donna, deve fare leva nella società. La cultura, la consapevolezza morale sono le armi attraverso le quali la donna in generale ed Edmea, che ne è il prototipo, in particolare devono riuscire a combattere quella rete di costrizioni che le impediscono di vivere in maniera paritaria la propria presenza nella società.
Questa semplice ma assoluta verità ha costituito ed ancora oggi costituisce lo strumento attraverso il quale la donna conquista il proprio futuro rivendicando e riconquistando momento dopo momento quelle pari opportunità di base che la Costituzione prima e le leggi degli anni ’70 dopo le hanno pienamente riconosciuto. Anche in questo caso quindi la visione di Gramsci, partendo dalla semplice constatazione della difficoltà della soggezione della donna nella società, ne aveva denunciato le ingiustizie e le macroscopiche differenze vedendo nella perequazione dei diritti sociali l’architrave sulla quale costruire la visione di una società che riconosce al proprio interno pari dignità sociale e morale a tutti i suoi componenti.
Sembra strano che a distanza di anni e situazioni geopolitiche istanze simili vengano portate avanti da un altro “carcere”. Così un uomo che vede la sua libertà limitata per amore dei propri ideali, riflette sulla condizione della società della sua patria e rivede in essa, denunciandole, le stesse condizioni di ingiustizia che erano emerse agli occhi di Gramsci. Il mio riferimento è ad Öcalan [2]che dall’isola di Imrali affronta una riflessione profonda su Società, Stato e sui vizi capitali che ne inficiano le origini. Egli osserva una cosa rivoluzionaria nella sua semplicità: la società patriarcale si basa sulla affermazione della schiavitù della donna. Riconoscere ed accettare la schiavitù della donna, negandole qualsiasi accesso ai diritti, pone le basi per qualsiasi altra forma di schiavitù. Secondo il leader curdo lo snodo focale dell’evoluzione della società è il passaggio che decide lo scollamento della società patriarcale da quella matriarcale. L’una volta all’accumulo della ricchezza l’altra alla produzione ed alla distribuzione nell’interesse comune. La società patriarcale si avvale della guerra per difendere la proprietà accumulata ed ha bisogno di schiavizzare per massimizzare la produzione stessa. E qual è la forma di schiavitù più vicina e proficua? È la “casalingazione” della donna nel suo rapporto di moglie, madre e lavoratrice senza alcun onere retributivo.
Egli afferma che un ruolo sostanziale nella marginalizzazione della figura femminile in ambito politico decisionale è giocato dalle religioni monoteiste, tenendo conto che l’islām si è appropriato di quel ruolo che alle donne era stato assegnato sia dall’ebraismo che dal cristianesimo pur se i risultati negativi per la riduzione in schiavitù della donna e l’oppressione sessista si percepiscono molto più violente nell’islām. Questa concezione viene approfondita e portata a conseguenze molto più radicali nella più approfondita analisi che Öcalan porta avanti mettendo in diretta relazione la patriarcalizzazione della famiglia, il monopolio maschile e lo Stato nei suoi vari assolutismi. Su questa lineare e al tempo stesso enorme verità egli basa quella che dovrebbe essere la vera rivoluzione sociale, politica e culturale di un mondo che accettando la prima forma di schiavitù si è fondato sulle successive e conclamate schiavizzazioni.
Gabriele Leone
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[1] Antonio Gramsci, L’educazione di Edmea, Villaggio Maori edizioni, lettera del 26 febbraio 1927.
[2] Abdullah Öcalan, La rivoluzione delle donne, Edizioni Iniziativa Internazionale.