Notus

Appunti di viaggio. Il racconto di Claudio Dionesalvi

Scarpe buone e un quaderno di appunti, questi gli elementi da cui, per un certo Anton Čechov, non poteva prescindere chiunque intendesse raccontare qualcosa. Nell’epoca dell’iper-digitalizzazione e dell’informazione “pronto-cuoci”, per i consigli del buon Čechov pare non esserci più posto. La nostra capacità critica, intrappolata nei vortici della notizia facile e veloce, si è radicalmente assottigliata, raggiungendo clamorosi e sconfortanti picchi di indifferenza, superficialità, disimpegno. E allora, come trasformarsi in lettori competenti e avveduti, come fare buon giornalismo, come descrivere la realtà che ci circonda, come tramutare il mero canale informativo in volano per la crescita culturale, politica e sociale di un’intera comunità? Recuperandolo, il senso profondo di quella comunità. Ridando voce alle persone. Riscoprendo il potenziale inespresso dei luoghi. Denunciando le brutture, il malaffare e l’incompetenza che hanno tristemente scolorito l’abbacinante potenza “del verde e del blu” di cui Claudio Dionesalvi, nel suo “Beach terminal”, prova a farci innamorare nuovamente.
Un’inchiesta sui generis, i cui snodi umani, sociali e politici, Claudio ha, con la coinvolgente freschezza anti-retorica di sempre, raccontato al numeroso e attento “pubblico” che ieri ha affollato lo spazio della bottega equo-solidale “Otra Vez”, promotrice della mini-rassegna “Appunti di viaggio”. A menare le danze, lanciare intelligenti provocazioni, porre scomodi quesiti, Alfredo Sprovieri del collettivo giornalistico “Mmasciata.it”. Per quasi due ore, senza mai annoiare l’uditorio, Claudio ci ha riportato con il pensiero sulle coste del martoriato Tirreno cosentino, percorso da lui, quest’estate, nelle vesti di ambulante rumeno, da Campora a Tortora. Non per, parole sue, denunciare le difficili condizioni di vita dei migranti, ma per farci prendere consapevolezza “di quanto viviamo male noi”. Noi che ci facciamo il bagno nel mare inquinato (o solo tropicalizzato?, n.d.r.), che ci stendiamo come sardine su spiagge lambite da aborti di cemento, costruiti da uomini in giacca e cravatta che non pagano mai per le loro nefandezze. A pagare, invece, siamo sempre noi, cosentini e calabresi in perenne attesa di una rivoluzione culturale. Le rivoluzioni, però, non cadono dal cielo mosse dalla forza di gravità, ma hanno bisogno di una spinta, di una spinta che provenga dal basso. Dal basso di chi, come Claudio, combatte da anni, senza indulgenza, ereticamente, senza finalità sotterranee, i guasti di una terra afflitta da clientelismo, corruzione e indifferenza.
Un’indifferenza che può essere battuta solo con la presa di coscienza che quelli di un Dionesalvi o di un Cirillo non sono corpi teutonici da spolpare fino all’osso, un’indifferenza che può essere vinta solo se facciamo delle nostre buone pratiche quotidiane il tema di un racconto collettivo.
Il messaggio forte lanciato da Claudio, ieri, ci è parso essere stato proprio questo: la crescita di una comunità è responsabilità di tutti, non di pochi delegati o mediattivisti coraggiosi da offrire in pasto alle zelanti attenzioni delle Procure.
La rivoluzione parte dalla vita di tutti i giorni, da un repellente Parini, ci ha simpaticamente svelato Claudio, spiegato ai suoi studenti attraverso il gioco. Perché, se la realtà ci annoia, deprime o ci fa incazzare, dalla nostra, per fortuna, abbiamo sempre il racconto. Per denunciare, informare, creare nuovi orizzonti o intessere relazioni. “A piena voce”, direbbe Majakovskij.

Giuseppe Bornino

Di seguito, la registrazione integrale della serata, curata da Enrico Prete:

Comments are closed.