Quest’oggi il comitato Mafia e Manifestazioni sportive, sottorganismo della commissione Bicamerale Antimafia, presieduto dal deputato del Partito Democratico Marco Di Lello, approverà, con ogni probabilità, un documento nel quale è stata messa per iscritto l’idea di inserire nei nostri stadi delle celle di sicurezza.
Un’idea che richiama alla mente le durissime misure applicate sugli Hooligans inglesi da Margaret Thatcher e il regime cileno di Pinochet, nel quale interi stadi vennero letteralmente trasformati in prigioni di massima sicurezza.
Tramite questa idea il governo pensa di risolvere il problema delle “infiltrazioni mafiose nelle curve”. Un argomento complesso, nelle curve delle” grandi” del nostro calcio c’è chi addirittura ha capito che con la compravendita dei biglietti si può mettere in piedi un vero e proprio business. Certo è che bisogna fare anche delle considerazioni sociologiche, una curva altro non è che uno specchio della società. In una curva si può trovare di tutto, si possono trovare fianco a fianco un ladro e un avvocato, si possono trovare ragazzi provenienti dagli ambienti benestanti e dai quartieri popolari, si può trovare l’operaio al fianco del lavoratore delle classi medio-alte. Come mai non si pensa di mettere delle celle all’interno del parlamento? Lì ci sono infiltrazioni mafiose evidenti, le collusioni tra mafia e politica oggi portano chi siede sulle poltrone decisionali di questo Paese a speculare sulle nostre vite e a devastare i nostri territori.
Da un lato il governo, anche per la pressione degli ultras, ha iniziato a programmare l’abolizione della Tessera del Tifoso, un programma che si è dimostrato un vero e proprio fallimento. Ma non è che dietro questa scelta ci sia la volontà da parte del governo di ripopolare gli stadi al fine di trasformare chi occupa i gradoni di cemento in merce? Già perché il calcio moderno sta portando proprio a questo, alla trasformazione degli stadi in veri e propri poli commerciali. Lo svuotamento degli stadi è un dato di fatto, le pay-tv e la circolazione di ingenti somme di denaro hanno portato proprio a questo. Il peggio però deve ancora venire, è innegabile che attraverso il caro-biglietti e la costruzione di impianti super moderni, che probabilmente non saranno accessibili a tutti, si sta cercando di eliminare dagli stadi i ceti sociali meno abbienti, quelli abituati ad urlare la propria rabbia, per far posto ad una massa di automi senza un pensiero critico e con tante banconote da spendere per mantenere viva la macchina capitalista che oggi alimenta il calcio.
Il tifo, si sa, altro non è che una malattia. Un virus che si trasmette di generazione in generazione ed arriva ad “infettare” diversi strati della società. Le curve e le gradinate che un tempo rappresentavano delle zone temporaneamente liberate, degli spazi sociali a cielo aperto in cui mettere in pratica autonomamente delle regole che vanno ad opporsi alle leggi oppressive che governano la nostra società, dei luoghi in cui vi era un caos non gerarchizzato al di fuori dell’ordine costituito, oggi rischiano di trasformarsi in un ibrido tra carceri e centri commerciali nei quali gli ultras, senza accorgersene, potrebbero ritrovarsi a vivere nelle condizioni di detenuti.
Già perché oggi il mondo ultras, come quello dei movimenti sociali, è pieno di frammentazioni e in questo vengono fuori tutte le difficoltà a porre delle riflessioni serie su ciò che sta accadendo. Le cause di ciò devono essere ricercate nell’origine stessa degli ultras nel nostro Paese. Gli ultras vengono fuori da quella stessa rabbia che portò, negli anni settanta, una generazione di guerriglieri urbani ad assaltare il cielo. L’ultras nasce in quel clima torbido dove movimenti di estrema destra e di estrema sinistra si davano battaglia sull’asfalto. A questo vanno ad aggiungersi le diversità di vedute sui provvedimenti, come per esempio la Tessera del Tifoso, che sono stati inventati apposta con l’intento di creare spaccature all’interno del mondo ultras.
La repressione nel frattempo viaggia a ritmi serrati, il Decreto Minniti ha paragonato i migranti che arrivano nel nostro paese, i writers che dipingono il grigiore nei nostri panorami sub-urbani, i senzatetto che vivono per strada e sulle panchine, gli antagonisti dei movimenti sociali che lottano per cambiare lo stato di cose attuali, agli ultras che affollano i gradoni di cemento. Gli stadi, è risaputo, sono una vera e propria palestra di repressione sulla quale sperimentare nuove estensioni del controllo sociale da impiantare in tutta la società. Il Daspo negli stadi è diventato Daspo urbano nelle città per avviare, nei nostri tessuti urbani, una vera e propria caccia all’uomo come da anni avviene all’interno degli stadi.
Gli abusi di potere nel frattempo sono all’ordine del giorno, è importante sottolineare la vicenda di Luca Fanesi, l’ultras della Sambenedettese, ridotto in condizioni tragiche dalla violenza delle forze dell’ordine e dall’infamità di chi si nasconde dietro una divisa per commettere soprusi di ogni tipo. E come dimenticare la vicenda relativa al “sequestro” del bandierone di Federico Aldrovandi che gli ultras della Curva Ovest Ferrara espongono in ogni stadio per ricordare chi sono i veri responsabili della morte di Federico? Attorno a queste vicende si stanno attivando delle reti di solidarietà da parte di tutte le tifoserie. Forse oggi è importante partire da ciò per avviare davvero una riflessione seria su come affrontare le continue ondate repressive. Il rischio che si corre altrimenti è quello di rimanere completamente schiacciati dalla morsa repressiva del nemico comune, è quello di rimanere chiusi negli stadi senza accorgersi di quello che accade al di fuori delle reti e dei tornelli.
Una bottiglia molotov che si schianta sull’asfalto può dare il via ad un incendio, il fuoco della rabbia che brucia in ognuno di noi non deve assolutamente diventare cenere. Forse è arrivato il momento di riprendersi le piazze, di sovvertire il destino al quale si sta andando incontro, e di tornare ad essere protagonisti delle proprie vite.