Sai, dovrei essere arrabbiato con te, oggi. Dovrei esserlo innanzitutto perché mi hai messo in difficoltà per scriverti sta lettera, che non è semplice, lo sai, scrivere a qualcuno quando si è colti di sorpresa; ma soprattutto dovrei essere arrabbiato con te perché non si fa così, non si va via così all'improvviso. Sai, fortuna volle che ti conosco da quando sono nato, per cui sarò gentile nello sgridarti per tutta sta fretta e nel ripeterti una cosa che vorrei ti rimanga bene impressa in mente, da qui in avanti.
Molte persone mi hanno sostenuto; i miei amici, i parenti, i conoscenti, il mio pubblico, a migliaia mi hanno “cresciuto”, fatto vivere, insegnato cose, in questi lunghi trentasei anni.
Un po' di meno sono state le persone che mi hanno animato, dato una identità, forgiato il carattere; attori, registi, macchinisti (e fuochisti, starai pensando), a centinaia hanno creato il mio volto, hanno lasciato una traccia, anche piccola, che ha segnato il mio modo di vedere le cose e di farle vedere agli altri.
Ma pochi, in realtà, sono stati capaci di darmi un'anima, di costruire il mio dna, di resistere, e resistere, e resistere ancora, come hai fatto tu. Di questo gruppo straordinario di persone, di questo “manipolo di anarchici arroccati nella Città vecchia” (come li chiamava qualcuno, anni fa) tu fai parte, e ne farai parte sempre.
Fra tutta questa magnifica umanità di cui mi nutro fatta di spettatori, ragazzi curiosi, giovani attori, musicisti, appassionati di Teatro, elettricisti, intellettuali, critici occasionali e quant'altro, tu sei uno di quelli che ha permesso che io arrivassi a compiere trentasei anni. Fra tutti quelli che hanno aggiunto mattoni per costruire quello che oggi sono io, tu sei uno di quelli che ha lavorato alle fondamenta.
Ora, tu potrai pure essere avvocato, frequentare tribunali e studiare processi, ma più del Foro è il Teatro che rivendica la tua appartenenza.
Ecco, vorrei che tutto questo ti sia chiaro.
Tuo, sempre.
Teatro dell'Acquario