Il 23 aprile la polizia greca ha sgomberato l’occupazione della piazza principale di Mytelene, nell’isola di Lesbo. La manifestazione, organizzata da un gruppo di famiglie di nazionalità prevalentemente afghana, era cominciata da mercoledì 18, quando, nella sera di lunedì, i migranti sono stati violentemente assaliti da 200 militanti di estrema destra. Questi ultimi si erano riuniti in solidarietà di due soldati greci detenuti in Turchia, e verso le ore 20 hanno raggiunto l’area presieduta dai manifestanti provenienti dal campo profughi di Moria, esordendo con insulti e affronti. La situazione è degenerata nel corso della notte (i ripetuti attacchi sono durati per una decina di ore), l’aggressione verbale è mutata in un’incontenibile violenza perpetrata dai militanti di destra con lanci di bottiglie, numerosi petardi e sassi. Diverse persone sono state condotte d’urgenza all’ospedale dell’isola. “Bruciamoli vivi”: è stata la frase urlata da uno degli aggressori quando un’attivista, solidale con i migranti, ha segnalato la presenza di bambini tra i manifestanti, intorno ai quali, nel frattempo, si era formato un cordone umano con l’intento di proteggerli. Verso le 21, la chiamata di solidarietà diretta agli altri residenti del campo di Moria, è stata prontamente troncata dall’azione della polizia, che ha sbarrato l’uscita dall’Hotspot a coloro che intendevano raggiungere la piazza dove stavano avendo luogo le aggressioni. Da evidenziare, durante l’intera durata dell’attacco fascista ai danni dei manifestanti, è stato il ruolo delle forze dell’ordine presenti sul posto, che sono rimaste spettatrici immobili, salvo qualche timido tentativo a singhiozzo di allontanare di pochi metri gli aggressori. Nessuno di questi ultimi è stato arrestato, non c’è stato alcun tipo di provvedimento nei loro confronti e la situazione è stata infine “risolta” dalla polizia quando, verso le 5 del mattino, i migranti sono stati forzatamente caricati su alcuni pullman per essere tradotti al campo di Moria. La stragrande maggioranza dei media greci e di quelli internazionali ha trattato la notizia con la medesima retorica impiegata nel caso dell’esercito israeliano che spara deliberatamente su manifestanti pacifici; è stata diffusa, infatti, una versione distorta: come se a Lesbo gli scontri si siano dispiegati violentemente tra due fazioni di simile entità, dove, per intenderci, non si sia capito bene chi abbia scagliato la prima pietra. L’attacco fascista ha visto una reazione di eccezionale calma e autocontrollo da parte dei manifestanti aggrediti, una reazione che alcuni testimoni oculari hanno definito gandhiana.
(Il video che testimonia le aggressioni della nottata del 23 aprile, i lanci dei sassi e le esplosioni dei petardi)
Nelle isole greche dell’Egeo, a ridosso della Turchia, la situazione è degenerata al punto che i principi della UE rispetto ai diritti fondamentali dell’uomo vengono sistematicamente violati. L’accordo del 18 marzo 2016 tra l’Unione Europea e la Turchia, accettato di buon grado dal governo di Syriza, prevede che i migranti, approdati sulle coste delle isole greche, non possano, salvo casi eccezionali, raggiungere Atene, o altre zone della “mainland” e che, quindi, i procedimenti necessari per l’ottenimento dello status di rifugiato vengano espletati dagli uffici competenti dell’isola di arrivo. Conseguentemente alle tempistiche delle pratiche relative alle richieste di asilo, i migranti intrappolati a Chios, Kos, Samos, Leros e Lesbo sono 15.000 e i campi allestiti dal governo sono sovraffollati, basti pensare a quello di Moria, dove le infrastrutture disponibili sono previste per 800 persone, quando sii contano oltre 2000 residenti all’interno. I richiedenti asilo vivono in tende, allestite dal UNHCR e dall’esercito greco; i pasti, precotti e a volte addirittura non commestibili, non sono garantiti per tutti e l’acqua corrente è disponibile per poche ore al giorno.
Eurokinissi/AP Photo]
Giornalisti e attivisti solidali non hanno accesso all’Hotspot, impediti dal livello di militarizzazione e sorveglianza da parte delle forze dell’ordine, che è irragionevolmente massiccio, e solamente alcune ONG hanno il permesso di operarvi all’interno. L’accordo tra Ue e Turchia è l’ennesimo atto istituzionale volto a disincentivare gli arrivi e, per coloro che sono già approdati sulle isole, incoraggiare e sollecitare i rimpatri, ovvero le deportazioni verso i paesi di provenienza. Un altro aspetto inquietante del suddetto patto, per altro simile a quello italiano con la Libia, è l’esternalizzazione delle frontiere rispetto allo spazio Schengen, a costo di scendere a compromessi con Erdogan. Quello che l’Unione Europea sta deliberatamente provocando e alimentando, in psicologia viene definito come trauma multidimensionale. Oltre, infatti, alle ferite legate ai vissuti nei paesi di origine e ai viaggi di stenti intrapresi in totale clandestinità, il trauma, giunti nei paesi dichiarati “sicuri”, si espleta con la permanenza forzata, che può durare diversi anni, nei lager moderni allestiti per “accoglierli”, ovvero luoghi che insultano la dignità umana e annullano l’identità. .
Vittoria Morrone