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Turchia: durante i cortei per ricordare la morte di Berkin Elvan esplode la rabbia contro lo stato di polizia imposto dall’AKP

Il 12 marzo 2014, dopo 269 giorni di coma, Berkin Elvan è morto nell’ospedale di Ankara. Il ragazzo di 15 anni che fu colpito alla testa da un candelotto dei lacrimogeni sparati ad altezza uomo, durante le proteste del giugno 2013, in Piazza Taxim per la difesa di  Gezi Park; da quel giorno Berkin Elvan non si è più svegliato. Proprio qualche giorno fa ricorreva il primo anniversario della sua morte. L’11 marzo scorso, infatti, sono scese nelle piazze di Istanbul, Ankara e Izmir migliaia di persone per ricordare il ragazzo ucciso ingiustamente dalla polizia.

Subito dopo il grave incidente, nel 2013, Erdogan ha provato a far credere al mondo intero che la repressione e la violenza della polizia in piazza Taxim durante i giorni della protesta fossero indirizzate contro i famosi «black bloc». Il caso del giovane Elvan è la dimostrazione lampante del fatto che il premier non ha fatto altro che insabbiare la verità di una delle tante morti di stato. La sera in cui Elvan è stato colpito dal candelotto era semplicemente uscito di casa per andare a comprare il pane. Il giovane non stava neppure partecipando alle dimostrazioni di quei giorni, eppure un candelotto di 850 grammi l’ha raggiunto al capo.

Mercoledì sono state decine di migliaia le persone scese in piazza da Ankara ad Istanbul, da Tekirgag ad Izmir. Sono stati diversi i collettivi studenteschi che hanno organizzato boicottaggi, proteste, sit-in, striscionate, volantinaggi e marce commemorative nelle sedi scolastiche ed universitarie di İstanbul. Proprio ad Istanbul c’è stato il numero più alto di arresti e in particolare alla Yildiz Tecnik University, sono stati arrestati 5 studenti del dipartimento di architettura per un sit-in non autorizzato e altri 10 manifestanti mentre versavano vernice rossa sulle scale di Gezi Park.

La protesta più partecipata e conflittuale, con duri scontri tra polizia e manifestanti, si è svolta nel quartiere di Okmeydanı dove i manifestanti hanno costruito vere e proprie barricate mentre la polizia lanciava via aerea i gas lacrimogeni e dai Toma, le vetture da guerra che utilizza normalmente la polizia turca per reprimere le proteste, venivano i forti getti degli idranti. I candelotti dei gas hanno colpito anche numerose finestre delle abitazioni del quartiere provocando non pochi danni anche all’interno delle stesse.

Attraversando le strade del quartiere a qualche ora dagli scontri, esso si presenta come un campo di battaglia. Alla dura repressione della polizia i manifestanti non si sono arresi, hanno risposto con frombole, giochi pirotecnici, sono state sabotate le numerose telecamere di sorveglianza, mentre i militanti armati del Fronte Popolare, riconoscibili tra i manifestanti per essere bardati di rosso, hanno risposto alla polizia con il lancio di Molotov e con colpi di arma da fuoco. Dalla polizia sono stati presi di mira anche numerosi reporter, proprio come durante le proteste di Gezi Park, molte delle loro apparecchiature sono andate distrutte.

La rabbia nelle strade delle grandi città della Turchia è esplosa di nuovo, nonostante quotidianamente si viva un forte stato di polizia, dove la repressione e gli arresti per motivi politici sono all’ordine del giorno. Le genti non restano impotenti, rispondono alla repressione nonostante in queste settimane si stia discutendo presso il Parlamento turco il nuovo DDL sulla sicurezza.

Finestra sul vicino oriente @Elma

berkin

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