Mentre la Turchia piange i suoi morti (97 secondo fonti governative e 128 secondo quelle filo-curde), cresce l’incertezza nel Paese. A nulla sono servite le dichiarazioni di questa mattina del primo ministro turco Ahmet Davutoglu che ha parlato di una soluzione molto vicina per le indagini. Le similitudini con l’attentato del 20 luglio a Suruc – ha dichiarato Davutoglu in una intervista alla televisione turca Ntv – fanno pensare che «l’attentato sia riconducibile all’Is e che costituisca un tentativo di destabilizzare le elezioni del primo novembre». Intanto, tra ieri e oggi, sono state condotte una serie di operazioni antiterrorismo in tutto il Paese e una cinquantina di persone sono state tratte in arresto. Sono in molti però a non credere alle versioni ufficiali, soprattutto tra i sostenitori di Hdp. Anche oggi centinaia di migliaia di persone, in molte città della Turchia, sono nuovamente scese in strada per chiedere le immediate dimissioni del presidente Erdogan, che per il momento tiene duro, anche se si vocifera che nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore, potrebbero arrivare le dimissioni del Ministro dell’Interno, Selami Atinok, ritenuto uno dei principali responsabili dei fatti di Ankara, sia per non aver saputo organizzare i controlli sia per la gestione dei drammatici momenti seguiti alla strage.
Anche a Gaziantep, la sesta città più popolosa della Turchia, questa mattina un corteo di migliaia di persone, pacifico ma determinato, ha attraversato le vie del centro città non solo per ricordare i morti, ma per rivolgere accuse precise nei confronti di Erdogan e dell’Akp. Secondo molti cittadini, attivisti filo-curdi e militanti di Hdp le versioni fornite dal governo non sono sufficienti, anzi sarebbero fuorvianti e servirebbero al premier turco per creare un clima di instabilità e di insicurezza sul quale costruire il proprio consenso elettorale. Già ieri, infatti, le parole di Selahattin Demirtas erano state abbastanza dure: «l’Akp – aveva tuonato il leader del Partito democratico del popolo – ha le mani sporche di sangue».
«Tutti sanno che dietro questi attentati c’è una regia ben organizzata – ci dice Ramazan, un ragazzo curdo che abbiamo incontrato stamattina durante la manifestazione –, ma dopo gli ultimi attentati di Suruc e Ankara c’è troppa paura per scendere in strada». C’è paura, ma c’è anche tanta rabbia che cerca di manifestarsi. Proprio per questo nei prossimi giorni continueranno le proteste spontanee. Anche a questo, però, il governo sta tentando di porre un freno, cercando di impedire qualsiasi organizzazione. Da ormai tre giorni, infatti, i social networks risultano bloccati, non solo per limitare la possibilità che immagini e notizie escano dal paese senza passare attraverso la stampa, ma soprattutto per evitare che Twitter e Facebook, con la loro immediatezza ed esplosività, possano costituire il canale per organizzare e gestire le proteste. Quasi tutti i giornali, in Turchia, stanno ignorando la notizia, ma le conferme questa volta arrivano della Gran Bretagna, dall’Independent, che proprio stamattina ha dedicato un pezzo a questa insolita situazione, parlando di una vera e propria censura dei social media da parte del governo. Notizia che viene, inoltre, confermata nelle strade dai cittadini che sanno che in Turchia non è la prima volta che accade una cosa del genere.
Intanto, nonostante la decisione del Pkk di rispettare la tregua fino alle elezioni di novembre, l’instabilità nel sud-est del Paese continua a crescere. In alcune città, soprattutto nel distretto di Sur, si stanno intensificando gli scontri tra filo-curdi e polizia ed è ripreso il coprifuoco. A seguito delle proteste scaturite dopo l’attentato di Ankara – come è stato denunciato da Hdp e confermato da alcune testate turche – due bambine sono rimaste uccise. La prima, di nove anni, sarebbe stata colpita da tre proiettili, probabilmente sparati dalla polizia, nella città di Diayarbakir, mentre la seconda, di soli tre anni, sarebbe stata colpita da un proiettile vagante, mentre era tra le braccia della madre, ad Adana.
Dante Prato, Gaziantep 12/10/2015
Le immagini della manifestazione: