Cosa vogliono i rappresentanti della paura.
Le ultime dichiarazioni dei rappresentanti degli studenti e del magnifico rettore alimentano il falso allarmismo sull’ateneo poco sicuro. I rappresentanti degli studenti, in primis il senatore accademico, invocano sempre più prevenzione, puntando l’indice verso il rettore, reo di aver attuato un netto taglio alla vigilanza notturna. L’intero Consiglio degli studenti chiede a gran voce, oltre all’aumento del numero dei vigilanti, un eventuale accordo con carabinieri ed esercito, con l’obiettivo di assicurare la tranquillità e l’incolumità fisica degli studenti. Studenti che nel loro tragitto verso casa, devono per forza passare in questo cupo e tetro campus, che muore quotidianamente sotto i colpi dell’apatia e della mancata partecipazione attiva.
In realtà i dogmi della sicurezza e del controllo sono già in atto e presto accresceranno la loro mole coercitiva. Infatti è stato già stipulato un accordo con l’associazione nazionale carabinieri ed è imminente quello con l’associazione nazionale polizia. Da qui a breve ci troveremo ancor di più in un ateneo iper-sorvegliato grazie ad ulteriori accordi: telecamere ad altissima risoluzione e una spesa pubblica da 11 milioni di euro per l’installazione dell’illuminazione a led nell’intero campus.
Con queste affermazioni, i rappresentati degli organi istituzionali di questo ateneo, si inseriscono a pieno titolo, nella categoria dei peggiori imprenditori della paura. Non adatti al ruolo di chi dovrebbe dare risposte e soluzioni, cercano consenso con dichiarazioni roboanti, da chi è compresso tra ritmi frenetici e binari imposti, impoverito, reso insicuro, precario.
Lo spettro della sicurezza è agitato per normalizzare e imporre il processo di distruzione dell’università pubblica.
Uno spazio autonomo, luogo di partecipazione politica, sociale, culturale e di innovazione è stato trasformato in posto fatto solo di percorsi di esclusione, di finta eccellenza dove è sempre più difficile accedere ad un’istruzione di qualità a vantaggio del solo profitto economico.
I rappresentati hanno agito nella trasfigurazione di un bene comune in luogo neutro, verticale, in mero erogatore di crediti e lezioni, sono stati in silenzio e hanno avallato la sua trasformazione in posto classista, escludente, chiuso. In realtà l’università dovrebbe essere uno spazio aperto a tutti, dove intessere relazioni, creare discussione, partecipazione, contraddizioni.
Dal punto di vista degli imprenditori della paura, gli studenti non devono vivere liberamente i luoghi che attraversano, sono minacciosi per l’ordine desiderato, vanno allontanati, sono ciò che deturpa l’università vetrina, coloro che chiedono servizi gratuiti e di qualità, che contestano la chiusura dei corsi e dei dipartimenti e si battono contro l’apertura di servizi commerciali all’interno del campus. L’università deve essere un luogo di pochi e privilegiati eletti, questo è l’obiettivo della tanto sbandierata ricerca di sicurezza, ordine e controllo.
Noi invece non vorremmo un luogo recintato, non la polizia fra i cubi, non le telecamere nei luoghi di socialità e studio, ma maggiori investimenti culturali, una università pubblica e gratuita, con al centro la sicurezza sociale, da costruire collettivamente, e non la sicurezza come misura restrittiva della cultura e della libertà.
Progetto Azadì