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Intervista ad Omar Barghouthi,attivista palestinese

La repressione israeliana della manifestazione pacifica di queste settimane è una violazione del diritto internazionale e sta accadendo alla luce del sole, strumentalizzata prima di tutto dal governo di Netanyahu, che giustifica e sobilla le esecuzioni al confine, divulgando la solita retorica della minaccia armata palestinese; retorica che, naturalmente, caldeggiata dai media israeliani, ma anche dai principali mezzi di informazione occidentali, descrive la Marcia del Ritorno come una manifestazione con intenti tutt’altro che pacifici.

Come fa notare la giornalista Amira Hass, i crimini di guerra di cui si sta macchiando l’esercito israeliano, non derivano da una scelta di natura militare dettata dalla necessità difensiva, ma piuttosto, hanno, più o meno implicitamente, un obiettivo prettamente politico: la scissione del progetto nazionale palestinese attraverso l’isolamento della Striscia di Gaza, scissione che, quasi trent’anni fa, aveva dato alla luce due governi separati. La Marcia del Ritorno, a seguito di un’analisi meno superficiale e approssimativa di quella che la maggior parte della stampa internazionale propone dal 30 marzo scorso, si configura come una resistenza pacifica popolare.


A seguire l’intervista ad Omar Barghouthi, attivista palestinese, che lavora con le comunità di rifugiati e richiedenti asilo in Medio Oriente e in Europa.

Quali sono i gruppi politici alla guida della resistenza palestinese contro l’occupazione di Israele?
La scena politica in Palestina è da tempo frammentata ed è, attualmente, l’arena per dichiarazioni interessate e retoriche vuote. Da diversi anni non ci sono state elezioni politiche, né tanto meno il Consiglio Legislativo Palestinese si è riunito in assemblea. Mentre il popolo palestinese aspetta di vedere chi prenderà il posto di Abbas a capo dell’Autorità Palestinese, diversi partiti politici sono pronti a rivendicare ruoli di leadership nella recente onda di proteste, scioperi e disobbedienza civile. Quello che dovrebbe essere evidente all’opinione pubblica è la realtà di un fronte di resistenza popolare guidato dalla comunità, che fornisce una risposta diretta alla frustrazione derivante da una storia di espropriazioni e vergognosi attacchi alla dignità del popolo palestinese per mano dell’occupazione israeliana e della leadership locale, irrimediabilmente fautori e complici dei crimini sionisti.

Nonostante la Marcia del Ritorno si proclami come protesta pacifica, molti dei mass media occidentali presentano Hamas come istigatore all’uso della violenza. Che tipo di messaggio è veicolato da queste informazioni? Rappresenta la verità?
Il ruolo di Hamas nelle recenti proteste, e nella disobbedienza civile in generale, è stato il focus dei media occidentali in un codardo tentativo di alimentare la narrazione sionista secondo cui Hamas stia sfruttando la sofferenza del popolo di Gaza per riguadagnare terreno sulla scena internazionale. La resistenza Palestinese oggi è una risposta autoctona contro un’occupazione brutale, ed è animata da singoli individui e intere comunità, non da partiti politici.

Politicamente parlando, non sarebbe più efficace, almeno a livello di consenso internazionale, una resistenza pacifica?
I movimenti di protesta in Palestina sono essenzialmente pacifici in quanto rivendicano, appunto, la pace. La discrepanza fondamentale tra il popolo palestinese e i nostri occupanti è che noi siamo disposti a morire per la nostra terra e non mettiamo a repentaglio le nostre vite mossi dall’odio nei confronti dei nostri oppressori, ma spinti dall’amore per il nostro paese, per la nostra storia, per nostra cultura e per i nostri figli. L’onere della pace sarà sempre degli occupanti perché sono loro a detenere il potere. Non ci sarà mai pace finché gli israeliani ameranno i loro figli più di quanto odiano i nostri.

La posizione di Erdogan, specialmente rispetto agli ultimi avvenimenti, è di solidarietà con il popolo Palestinese. Come pensi che queste dichiarazioni possano inserirsi nell’ambito geopolitico mediorientale?
La posizione di Erdogan è solamente un altro tentativo di impugnare la causa palestinese per consolidare le sue ambizioni neo-ottomane. Oltre ad aver offerto un limitatissimo supporto a Gaza, le sue parole rappresentano una retorica controproducente e non hanno alcuna aderenza sui territori in Palestina, in quanto i palestinesi non sono alla ricerca di una guidance da Ankara, tanto meno ci aspettiamo che Erdogan sostenga la nostra causa in modo significativo.

Come pensi che la situazione evolverà fino al 15 maggio? Stiamo già assistendo alla già proclamata terza Intifada o è solo l’inizio?
Personalmente, prevedo che la situazione al confine tra Gaza e Israele si protrarrà sanguinaria come lo è stata fino ad ora, che l’esercito israeliano persevererà indifferentemente con le esecuzioni di manifestanti al fine di scoraggiare proteste future. Come già accaduto in precedenza, questo tentativo di soffocare la resistenza servirà soltanto ad irrobustire la forza di volontà del popolo palestinese alla vigilia del 70esimo anniversario della nostra Nakba.

Vittoria Morrone

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