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A chi fa paura la repubblica catalana? (di Paolo Perri)

 La repressione di Madrid, il diritto all’autodeterminazione nazionale e la confusione a sinistra.

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Votem per ser lluires (votiamo per essere liberi) si legge su uno dei tanti manifesti affissi sulle auto della Guardia Civil, la polizia militare spagnola, assediate dai manifestanti dopo il blitz di mercoledì mattina contro le principali sedi del governo autonomo catalano.

Il governo di Madrid, guidato dai popolari di Mariano Rajoy, ha deciso di gettare la maschera e passare alle maniere forti, esercitando così il proprio monopolio della violenza. Il messaggio è chiaro: il referendum per l’indipendenza della Catalogna, previsto per l’1 ottobre, non si deve fare e la Spagna lo impedirà con tutti i mezzi. Nella prima mattinata di mercoledì, infatti, centinaia di agenti hanno fatto irruzione in diversi uffici della Generalitat (il governo catalano), sequestrando materiale considerato illegale – come le schede elettorali per il referendum – e arrestando 14 dirigenti dell’amministrazione regionale. Si tratta di una vera svolta repressiva che fa seguito alle minacce dei mesi passati e alla sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo che ha considerato illegale il referendum e ha innescato il braccio di ferro tra Barcellona e Madrid che sembra giunto in questi giorni a un punto di non ritorno. Da una parte il fronte unionista che comprende alcuni dei principali partiti spagnoli, dai popolari ai socialisti, con Podemos alle prese con un’aspra discussione interna. Dall’altra l’eterogenea maggioranza indipendentista del parlamento catalano, una strana alleanza tra partiti molto diversi tra loro, che ha assunto le caratteristiche di un vero e proprio governo di scopo pro-indipendenza: il Partido Demócrata Europeo Catalán di Artur Mas, liberale e di centro-destra passato rapidamente dal rifiuto dell’indipendenza al secessionismo, i social democratici di Esquerra Republicana de Catalunya e la sinistra anticapitalista di Candidatura de Unidad Popular. Forti del 60% dei voti catalani, i rappresentanti della Generalitat non hanno ceduto ai ricatti di Madrid confermando il referendum. I segnali della crescente insofferenza spagnola sono stati tanti nei mesi scorsi – sequestri di volantini e manifesti elettorali, perquisizioni nelle sedi di partiti e movimenti politici, minacce di arresti e procedimenti penali – ma i catalani hanno tenuto duro, in un clima di generale scetticismo e nell’indifferenza internazionale.

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Gli arresti di ieri, però, insieme all’imponente reazione popolare che ha visto scendere in piazza decine di migliaia di manifestanti, hanno portato la questione catalana al centro del dibattito europeo. Allo stesso tempo sono emersi i soliti stereotipi e la mancanza di capacità interpretativa da più parti.

Soprattutto a sinistra. “Sono come i leghisti!”, “vogliono l’indipendenza perché sono ricchi”, “ritorna lo spettro del nazionalismo” sono alcuni dei commenti che si leggono sui media e sul web. Per questo è necessario fare alcune brevi precisazioni.

In primo luogo è importante sottolineare come il nodo della questione sia il sacrosanto diritto di un popolo ad esprimersi. Questo è oggi in ballo nella partita tra Madrid e Barcellona. Possono i catalani esprimersi sul progetto di una repubblica indipendente? Per il governo spagnolo (e per i socialisti formalmente all’opposizione) la risposta è NO.

Che si tratti di un atteggiamento quantomeno miope è ormai evidente.

È parere di chi scrive, infatti, che se il referendum fosse stato autorizzato e si fosse tenuto anche solo qualche giorno fa, gli indipendentisti lo avrebbero perso.

Proprio come in Scozia nel 2014 quando, nonostante il sostegno di massa di cui gode lo Scottish National Party, un omologo referendum ha visto sconfitti gli indipendentisti. In tanti, non solo in Spagna, sostengono l’illegittimità stessa del referendum, data la decisione del Tribunale Costituzionale, salvo però omettere che la sentenza si basa su norme e leggi approvate dai post-franchisti, alla fine degli anni ’70, per tranquillizzare l’esercito e gli esponenti del vecchio regime sull’indissolubilità dello stato.

Ai difensori dell’inconciliabilità tra marxismo e indipendentismo, invece, si potrebbe consigliare una più attenta lettura dello stesso Marx – per non parlare di Lenin – sul diritto all’autodeterminazione nazionale, ma non è questo il luogo per una discussione ideologica sul tema.

L’idea che quello catalano rappresenti nient’altro che uno sciovinismo frutto del benessere è un altro leitmotiv ricorrente.

Ma anche in questo caso, una breve ricerca sulle origini dell’indipendentismo e il prezzo pagato dai catalanisti dopo la sconfitta repubblicana nella guerra civile degli anni ’30, possono essere utili a fare chiarezza, soprattutto alla luce del successo riscosso dalle formazioni anticapitaliste e indipendentiste in questi ultimi anni. Mentre le polemiche sul tema impazzano, è di queste ultime ore la notizia che gli “estibadors”, i lavoratori portuali (corrispettivo catalano dei nostri camalli), boicotteranno l’approvvigionamento delle navi da crociera che il governo di Madrid ha noleggiato per alloggiare migliaia di poliziotti in procinto di raggiungere la Catalogna.

In un intreccio tra rivendicazioni nazionaliste e conflitti sociali il livello dello scontro pare quindi destinato ad alzarsi nei prossimi giorni, in particolar modo se dovesse essere proclamato lo sciopero generale invocato dalle numerose assemblee popolari attive dalla notte scorsa. Intanto anche tra i catalani contrari all’indipendenza cresce il malumore per la reazione di Madrid.

In fin dei conti l’oggetto della disputa non è la proclamazione unilaterale d’indipendenza, ma la sacrosanta richiesta di potersi esprimere sulla questione. Certo è comprensibile che l’idea di una repubblica in territorio iberico, magari anche d’ispirazione socialista, possa togliere il sonno al governo spagnolo e ai potenti di tutta Europa, ma in questi tempi di autoritarismo e paranoie securitarie anche soltanto rivendicare il diritto di espressione appare intollerabilmente sovversivo.

Il messaggio è arrivato forte e chiaro: la monarchia spagnola deve rimanere “una, grande y libre”. Se ne facciano una ragione questi repubblicani catalani e la smettano di turbare il placido torpore di parte della sinistra nostrana.

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