Il Ponte di Calatrava ci lancia l’ennesima sfida e noi siamo pronti a raccoglierla
Venerdì 26 gennaio Cosenza ha vissuto uno di quei momenti che saranno ricordati a lungo, soprattutto dallo stuolo di lecchini in fila (o, già, nelle fila) per un posto in paradiso. Ideato dal socialista Giacomo Mancini nel 2000 e terminato dal forzista Mario Occhiuto nel 2018, è stato inaugurato il Ponte di Calatrava, l’ennesimo “copia&incolla” di calcestruzzo e acciaio progettato dall’omonimo architetto valenciano.
Se da un lato, quello del ponte illuminato a festa, si è celebrata l'opera come volano per lo sviluppo del territorio, come segno tangibile di un Sud che cresce e di una "Cosenza bellissima”, dall'altro lato, alle soglie fangose di un ponte non finito, oltre 200 persone, partite in corteo dall'Hotel Centrale Occupato lo scorso 30 dicembre, hanno lanciato un messaggio ben diverso, esponendo uno striscione molto eloquente: “una sola grande opera; casa, reddito e dignità”, parole cui diamo gambe e fiato quotidianamente nei nostri quartieri e che ci indicano la nostra rotta da anni.
Siamo contro Calatrava perché muniti di scarso senso estetico, perché ci collochiamo nell’inferno degli “odiatori” (così come qualche imprudente consigliere ci ha recentemente appellato) a tutti i costi, perché avversiamo il “progresso” ? No, siamo contro Calatrava perché è stato costruito con oltre 6 milioni di fondi derivanti dalle trattenute sugli stipendi dei lavoratori e destinati a manutenzione e costruzione di case popolari nonché alla riqualificazione delle zone dove quest'ultime insistono. Le responsabilità politiche di questo vergognoso scempio sono da addebitare a chi, nel corso degli anni, si è succeduto sulle poltrone di Regione e Comune, dai socialisti che tanti danni hanno arrecato al nostro territorio fino ai più recenti “berluscones”.
Foto di Giacomo Greco
Una vergogna sotto gli occhi di tutti, una vergogna che ha scatenato lo sdegno, non solo dei tanti occupanti di casa di questa città, ma anche di tante cosentine e cosentini giunti, ormai, all’ultimo stadio di sopportazione. Siamo incazzati, sì, perché la politica non può più permettersi di giocare sulla pelle della gente per rimpinguare le proprie casse, distribuire favori, assicurare appalti, favorire il malaffare.
I “non odiatori” ci dicono che questo ponte unisce, che il quartiere di Gergeri risplenderà presto di nuova luce, ma, per il momento, noi vediamo solo un gigantesco artefatto paesaggisticamente inappropriato che, invece di unire, ci appare proprio come il simbolo della divisione, della sperequazione sociale, del divario che intercorre tra le grandi e inutili opere di una Cosenza utopica e la drammatica quotidianità della Cosenza reale, una quotidianità fatta di povertà, disagio, precarietà.
Le priorità per questa città, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, sono ben altre. Come possiamo pensare alla magniloquenza se il Centro Storico crolla a pezzi, come possiamo pensare a pompose inaugurazioni se i rubinetti delle case sono a secco, come possiamo pensare all’estetica se il nostro Pronto Soccorso è un’inenarrabile giungla, come possiamo pensare alla fiducia se le attività commerciali sono costrette a chiudere, come possiamo pensare al futuro se centinaia di giovani si barcamenano alla ricerca di uno straccio di lavoro, come possiamo pensare ai lustrini se decine di donne, uomini e bambini non hanno nemmeno un tetto sotto cui vivere? Che città vogliamo realmente lasciare in eredità ai nostri figli? Quella delle grandi opere da selfie o cartolina oppure la città dell’uguaglianza, dell’accoglienza, della dignità?
Ci parlano di riqualificazione urbana, di rivitalizzazione dei quartieri, ci spacciano metro, ovovia, nuovo stadio come catalizzatori di sviluppo, crescita e arricchimento, ma ad arricchirsi sono e saranno sempre le tasche dei soliti amici degli amici, degli avidi palazzinari. La riqualificazione urbana è la dolce menzogna che cela una verità ormai neanche tanto più nascosta: le grandi opere sono solo enormi mangiatoie a cielo aperto per chi deve guadagnare (o riciclare) con il cemento.
Noi questa triste verità, da anni, non abbiamo mai avuto timore di diffonderla e condividerla, a dispetto dell’ingente stuolo di lecchini alla ricerca di un posto al sole.
Noi siamo gli abitanti di questa città, uomini, donne e bambini, italiani e migranti, pronti, ancora per molto tempo, a lottare per la nostra dignità.
Per questo, siamo e saremo sempre i fieri rappresentanti di noi stessi.
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